venerdì 25 settembre 2009

Seoul, una faccia tante città

A Seoul mi sono stupito che nessuno mi spingesse per strada, nessuno che sputava o “espettorava” rumorosamente, niente grida al cellulare o salti di file, niente puzze nauseabonde sulla metro e in bus, niente pattume buttato per terra a caso. Poi ho realizzato che non sono cose di cui dovrei stupirmi, che dovrebbero essere così di norma, e di conseguenza mi è salita lungo la spina dorsale la paura di aver trascorso troppo tempo in Cina. Nonostante la sua popolazione sia etnicamente compatta (tutti coreani, tranne occasionali stranieri e lavoratori immigrati da paesi musulmani) la città mi è apparsa come uno strano e piacevole ibrido: tra i palazzi moderni sbuca la cultura tradizionali, i mercati notturni, le bancarelle che vendono spiedini di pollo e polipo, ma anche gnocchi di riso immersi in salsa piccante ed una strana pietanza che sembra una salsiccia ma in verità è intestino di maiale ripieno di spaghetti di soia, serviti con fegato. Impiegati in completo, studentesse in divisa, lavoratori dei cantieri si fermano, ordinano, mangiano appoggiati ai bordi metallici di questi banchetti e poi via di nuovo verso i loro impegni, in terra non rimane nulla. Le signore che friggono frittelle alla cannella o cominciano ad arrostire castagne ti chiamano in maniera educata verso i loro prodotti; tutti i camerieri e gli inservienti ti porgono le cose allungando il braccio destro e appoggiando la mano sinistra sotto il gomito opposto, in quello che è il segno di rispetto ed educazione tradizionale. Le antiche regole del rispetto gerarchico confuciano esistono anche qui, meno sventolate che in Cina ma più applicate: quando si è a cena o al bar, è sempre il più giovane che serve al più anziano e così via, ma in maniera automatica, senza troppi inutili rituali. Magari non avrà la monumentalità di Beijing, ma ci sono palazzi perfettamente recuperati e servizi per i turisti che fanno impallidire anche i nostri italiani, e templi buddhisti, con i loro monaci ed i loro siti internet, per essere tradizionali ma al passo con i tempi. Ma nella città asiatica si nasconde qualcosa di sapore europeo, sarà per la presenza di molte chiese e di suore che sia aggirano in metropolitana, sarà la funzionalità delle infrastrutture o la pulizia che la fanno assimilabile ad una capitale nord europea: per strada ci sono pochi bidoni, mi han detto che li hanno tolti per paura che ci mettessero le bombe, ma non c’è nemmeno pattume per terra; le gente in genere non fuma per strada, si formano capannelli in zone defilate in cui si fermano i viziosi. Lo spazzino che svuota i rari bidoni provvede ad una immediata suddivisione dei rifiuti in base alla riciclabilità. Ma intorno a queste due città, o meglio al loro interno, esiste anche una città che mi ricorda metropoli nord americane che in verità non ho mai visto, eredità delle presenza americana tutt’ora in essere in Corea del Sud: centinaia di caffetterie e fast food, più le prime a dire la verità, che siano grandi catene oppure singoli bar, una particolare passione per le donuts ed il caffè. I giganteschi centri commerciali dove perdersi, i soldati delle basi americane in libera uscita, la presenza di chiese evangeliche e presbiteriane con tanto di croci al neon rosse sui campanili e predicatori che si aggirano per le strade armati di megafoni e del messaggio di Cristo.


Ma esiste anche una città italiana, esiste nelle insegne dei bar e nei nomi dei ristoranti: caffè Luca, caffè Pascucci (ce ne saranno centinaia), caffè Davinci, ristoranti dai nomi evocativi come Firenze 1984, che ricordano piatti tipici come Focaccino, oppure strane creazioni linguistiche come il ristorante Primo Bacio Baci e decine di altri. Quindi un po’ mi sono sentito a casa.

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