mercoledì 24 novembre 2010

Paura lungo il 38esimo parallelo

La Corea del Nord ha attaccato la Corea del Sud. Secondo la versione di Pyongyang, è stata una motivata reazione a colpi sparati dalla marina sudcoreana durante un'esercitazione di rito che si svolgeva nelle acque in prossimità del 38esimo parallelo, la linea che divide le due Coree. Colpi che sarebbero stati esplosi in direzione nord, ossia verso le acque ed i territori nordcoreani. Tesi confutata da Seoul, che parla invece di un attacco vero e proprio. Centinaia di colpi di artiglieria hanno colpito l'isola di Yeonpyong, nel mar Giallo, ad ovest dalla penisola coreana. A circa 80 chilometri dall'aeroporto di Incheon, e pochi di più dalla capitale Seoul. Per ora le vittime sono 4, due militari e due civili, mentre la popolazione dell'isola, circa 1500 persone, si è riversata prima nei rifugi e poi ha cominciato a lasciare le proprie case. La gente ha paura. Le armi nucleari di Pyongyang fanno paura. La situazione confusa nella leadership nordcoreana fa paura, ma allo stesso tempo questa confusione spiega in parte l'attacco, ed allo stesso tempo indebolisce l'ipotesi di una guerra.


A Pyongyang è in corso la successione al potere, che passerà dalle mani di Kim Jong-il a quelle del figlio. Che ha 28 anni, e nessuna esperienza di governo, nè tantomeno il carisma necessario. Dopo la famiglia Kim, e forse prima del Partito dei Lavoratori, stanno i generali nordcoreani. Non è escluso che anche tra loro stiano lottando per portare l'erede da una parte piuttosto che dall'altra. Quindi l'attacco potrebbe sembrare l'ennesima prova di forza per dimostrare che l'esercito è pronto, vigile e preparato. E che decide. Non è un caso che sia avvenuto proprio nei giorni in cui è a Beijing l'inviato statunitense per la questione coreana, Stephen Bosworth, arrivato in Asia proprio per riannodare i fili dei dialoghi sul nucleare nordcoreano. Un segnale anche a lui, dunque. Ma un segnale di cosa? Di forza bruta? Di potere? Di unità? Forse tutto, forse nulla di tutto questo. Non è facile capire. Forse una vendetta perchè Seoul nei giorni scorsi si è rifiutata di riaprire i flussi turistici con la Corea del Nord, attività che aiutava l'economia di Pyongyang? Peccato che in cambio abbia ottenuto che la Corea del Sud bloccasse immediatamente gli aiuti economici che aveva previsto per alcune zone alluvionate del Nord.


Non è da escludere nemmeno la volontà di vedere come reagirà la Cina, unico alleato della Corea del Nord: un'alleanza essenziale ma sempre più spinosa. Non è un caso che la risposta di Beijing sia stata, tra quella delle grandi potenze, la più cauta, un diplomatico "prima di giudicare dobbiamo accertare l'esatta dinamica". Sacrosanto come atteggiamento, ma forse nasconde un certo imbarazzo. O la necessità di muoversi con cautela e studiare al meglio la prossima mossa.


Non credo che Pyongyang voglia scatenare una guerra. Tempo fa lessi qualcosa riguardo alle potenziali dinamiche di una nuova guerra tra le Coree: Pyongyang ha certo la potenza di fuoco necessaria, ed un attacco su Seoul avrebbe conseguenze devastanti (l'arma atomica potrebbe essere usata). Ma la risposta immediata del Sud, degli Stati Uniti, probabilmente del Giappone, renderebbe la Corea del Nord terra bruciata in poco tempo. A che pro dunque scatenare una guerra? Per ottenere qualcosa in cambio, siano soldi o considerazione. La Corea del Nord si sente con le spalle protette: c'è la Cina a garantirne la sicurezza. Per questo Seoul può rispondere a male parole, ma difficilmente (salvo chiaramente ulteriori provocazioni, più gravi e sanguinose) potrà veramente reagire con la forza, come si augurano i falchi degli ambienti militari. Il domino che una risposta violenta provocherebbe si può solo immaginare: intervento americano, intervento cinese, intervento russo, europeo. E perchè no indiano, visto che è di questi giorni un nuovo contenzioso tra Cina ed India riguardo alla frontiera himalaiana.


Nel frattempo, resta la paura lungo il 38esimo parallelo.

venerdì 19 novembre 2010

Stesso Ponte, altra stagione

L'autunno pechinese è durato poco, l'inverno è arrivato senza troppi proclami o clamori. La ripetitivà dei gesti e dei tragitti quotidiani ha fatto si che quasi non mi accorgessi del cambiamento climatico. Complice una certa linearità solare, che mi ha presentato luminose e serene giornate in sequenza, senza nebbia o pioggia, ho realizzato solo pochi giorni fa che come conseguenza del cambio di stagione, sono cambiate anche le attività della Gang del Ponte: tralasciando che ora i membri sono impegnati a battere i denti per il freddo tanto quanto a combattere tra di loro per accaparrarsi ogni spicchio di sole che si insinua attraverso la ringhiera metallica, per alcuni dei membri più illustri il business è decisamente mutato.


Non ci sono più animali in vendita. E la cosa non stupisce: le tartarughe o i pesci rossi in questo momento starebbero immobilizzati in vasche di ghiaccio, ottimi come soprammobili eccentrici ma piuttosto inutili come animali di compagnia. A dire il vero tartarughe e pesci rossi non sono animali di compagnia, non più di compagnia di un nano da giardino, almeno. I conigli e gli scoiattoli inveci li vedremmo impegnati in massacri epici per sottrarre ai propri simili lo scalpo con cui coprirsi. Insomma, niente più animali, sostituiti da abbigliamento tecnico invernale come sciarpe, guanti, o i leggendari mutandoni di lana lunghi fino alle caviglie, vero must del pechinese nella stagione fredda. E poi, sorpresa, inedito smercio di attrezzatura ortopedica: fascie elastiche per caviglie e ginocchia, supporti per polsi e gomiti, pancere e altre amenità. Mentre guardavo estasiato e studiavo questa riconversione del business in base al naturale ciclo delle stagioni, mi sono accorto che alcune ginocchiere lasciavano intravedere, nel foro da cui solitamente sbuca la rotula per permettere il movimento naturale, un rivestimento interno di pelliccia. Non male, ho pensato, ti metti una ginocchiera e tieni al caldo tutta la zona grazie al pelo.


Poi ho avuto un flash, come nei film un serie di immagini a tutta velocità da contorni sfuocati: conigli gioiosi intenti a zompettare, scoiattoli birbanti, occasionali cagnolini col pelo appena spuntato.


Forse mi sono lasciato suggestionare, ma mi è pure sembrato che i venditori di animali, ora riciclatisi spacciatori di ginocchiere, fossere meglio pasciuti che in passato.


E quando ho sentito di striscio la signora che vende paccottiglia etnica dire che i suoi fermacapelli sono di vera tartaruga, sono stato tentato di crederle.

martedì 16 novembre 2010

Un'altra Olimpiade. Quella Asiatica.

A Guangzhou, nota anche come Canton, sono iniziati lo scorso 12 novembre i Giochi Asiatici, le Olimpiadi speciali del continente ad oriente (nostro, chiaramente) giunte alla loro sedicesima edizione. Non sorprende che un continente che ospita circa il 60% della popolaizone mondiale abbia le proprie Olimpiadi speciali, in particolare se tale continente ospita paesi dominanti o che domineranno il futuro. Non sorprende nemmeno che la Cina faccia manbassa di medaglie, ponendosi dopo alcuni giorni al primo posto nel medagliere, cosa di cui nessuno dubitava minimamente, tanto che la vera sfida sembra piuttosto quella per il secondo posto, per il quale sgomitano Corea del Sud e Giappone. Per le altre nazioni, briciole o poco più. Morale della favola: se alle Olimpiadi normali vieni frustrato dall' "occidente" che cede il passo nell'economia ma si tiene stretto lo sport, in quelle tue continentali vieni frustrato dai tuoi vicini del nord-est.



E' un'Olimpiade a tutti gli effetti, con incredibile cerimonia di inaugurazione, mascotte, rituali e crismi perfettamente rispettati. L'unica differenza con la sorella maggiore globale sta in alcune discipline, che compaiono solo in questa versione asiatica: non stupisce la presenza di sport tradizionali o comunque molto diffusi, come il Wushu (le arti marziali cinesi) o il Cricket (la vera fede sportiva del subcontinente indiano). Poi abbiamo il Kabaddi, che non riesco a capire come funzioni, ma mi sembra una mutazione asiatica di "strega comanda colore" (http://www.gz2010.cn/08/0821/19/4JT4BR9G0078007E.html), la gara della Barche Drago, la sezione "scacchi" che comprende quelli classici per noi con re e regina e altri due giochi asiatici di tessere chiamati Weiqi e Xiangqi. Ci sono poi il Golf, il Bowling, il Biliardo (tutti chiaramente non tipicamente asiatici, ma che raccontano una globalizzazione di sport a suo modo inedita) e la categoria a mio parere più bella: Dance Sport. Ossia, ballare Tango, Valzer, e molti altri stili sudamericani o classici europei. E qui si rimane stupefatti, perchè per la mia piccola esperienza gli asiatici non sono esattamente sciolti nel ballo; ed invece eccoli che ti smentiscono a passo di Chachacha od eseguendo un Tango degno della miglior Buenos Aires.

giovedì 4 novembre 2010

A passeggio a Xicheng

Quando l'inverno pechinese si affaccia al tracciato delle vecchie mura cittadine sostituite, in tempi passati di distruzioni simboliche e necessità pragmatiche, dall'attuale tangenziale nota come Secondo anello, è meglio sfruttare al meglio ogni residuo di bel tempo e di temperature vivibili. Lo scorso sabato quindi, complice un sole troppo invitante per stare in casa, ho deciso di concedermi una passeggiata vecchia maniera in qualche zona dove non ero mai stato. Tirando più o meno a caso mi sono diretto verso il Xichengqu (西城区 traduzione dozzinale: Distretto della città occidentale. Io vivo nel 东城区 Distretto della città orientale, quindi sono andato tra i nemici di un eventuale derby giocato a colpi di a dama cinese in un vicolo polveroso). Guidato più dal caso che da un serio piano di esplorazione urbana, ho percorso in direzione nord-sud l'asse viario di Xinjiekou, mentre alla mia destra scorrevano prima negozi di strumentali musicali, con l'occasionale suonatore improvvisato fuori dal negozio a dimostrare ai passanti la bontà degli strumenti in vendita all'interno; poi un'infinita serie di negozi di ferramenta, dal grande magazzino alla mini rivendita, passando per il vecchio negozio con gli scaffali in vetrina pieni di polvere e seghe. Ora so dove andare la prossima volta che il rubinetto del bagno sgocciola. Ossia dall'idraulico sotto casa.


Stanco di tubi di ghisa e tamburi, alla prima occasione ho bruscamente virato a sinistra, infilandomi casualmente in un hutong e percorrendolo per tutta la sua lunghezza in direzione ovest, avvicinandomi dunque sensibilmente all'Europa. Niente di speciale, quando sono arrivato alla fine ero quasi deluso, nessuna scena popolare, nessun incontro da ricordare, nessuna immagine iconica. Allora arrogante ho deciso di percorrere l'hutong successivo nella direzione opposta, forse l'avvicinarmi all'Europa non era stata una buona scelta. Quindi sono tornato ad oriente per un altro vicolo. Dopo un centinaio di metri da una vetrina davanti a me esce una ragazza in minigonna e canottiera per buttare via la spazzatura. Mi si accende una lampadina, e l'insegna sulla vetrina mi conferma nell'idea: parrucchiere speciale. La ragazza mi vede, mi ammicca, e quasi sussurrando mi dice “Massaggio?Massaggio?” e mima il gesto con le mani. Io sorrido tra il cortese e l'imbarazzato, vado dritto sentendo viva la delusione della ragazza per un cliente perso, e dopo pochi passi sento alla mia destra bussare. Ancora prima di girarmi so cosa vedrò: da dentro una vetrina di parrucchiere una ragazza, ben truccata e vestita da seduzione, mi fa cenno con la mano e mi invita ad entrare. Passo oltre, ma la scena si ripeterà ancora alcune volte. Questi parrucchieri “speciali” sono piuttosto normali a Beijing, ma resta comunque strano trovarli nelle zone centrali. Non se ne vedono più nelle zone battute dai turisti (quelli preferiscono andare, nel caso, nei centri massaggi veri e propri) ma appaiono ancora nei vicoli fuori mano, dove la polvere alzata dal vento che si infila nelle strette vie cala come un sipario sulla vita della pancia di Beijing. Ho passeggiato oltre, tornando verso occidente lungo l'ennesimo hutong, oltrepassando piccoli centri ricreativi dove gli anziani si trovano a giocare a domino o qualche altro gioco tradizionale cinese, e senza accorgermene sono arrivato alle spalle del Tempio della Pagoda Bianca (白塔寺 Baitasi). Splendida, la grande Pagoda Bianca che torreggia sui vicoli tutt'intorno, con le sue bandierine di preghiera buddhiste lasciate in balia del vento. Un gioiello che fa ombra alle case basse del vicinato, e sulla quale fanno oramai ombra i grattacieli di vetro della Financial Street che inizia subito a sud del Tempio. Così dopo la musica, il vizio, la preghiera ed i soldi sono potuto serenamente discendere nei meandri della metropolitana e tornare a casa soddisfatto.