mercoledì 30 settembre 2009

i padroni delle strade

 Il Partito ha annunciato che quella di domani sarà la più grande parata militare della storia cinese. Ha annunciato che quello di domani sera sarà un enorme spettacolo pirotecnico che farà sembrare la cerimonia di inizio delle Olimpiadi del 2008 una banale riunione di miniciccioli da oratorio. Ha reso noto quali saranno i blocchi al traffico nei prossimi giorni, invitando la popolazione a godersi le celebrazioni comodamente seduti in salotto: una linea della metro chiusa completamente, tutte le fermate sulle altre linee nelle vicinanze di Tianan’men chiuse; un vago annuncio dal sapore minaccioso chiarisce che moltissime strade verranno chiuse all’interno del terzo anello, ma non ho trovato modo di sapere quali (forse non viene reso noto per evitare ai coraggiosi di tracciare sulla mappa i percorsi per arrivare in piazza); un altro annuncio fumoso e forse ancora più inquietante dice che molte linee di bus saranno sospese, e quelle non sospese potranno subire variazioni, ma non si accenna a quali: insomma potrei salire su un pullman a Hepingli e ritrovarmi dopo qualche ora nello Henan, solo perché le strade solite erano chiuse per la parata. Forse la soluzione migliore potrebbe essere noleggiare una bicicletta, sempre che non abbia chiuso anche il punto noleggio sotto casa. Già da oggi alle 13 tutti si sono fermati, uffici chiusi per cominciare le vacanze in anticipo, tutti a casa e guai a chi si fa vedere in giro domani. Forse una soluzione c’è: cercare di farsi strada attraverso gli hutong, passando di casa in cortile e vicolo, scavalcando muretti e schivando le vecchie dei comitati di quartiere, un po’ come quando si entrava al carnevale scavalcando i recinti per non pagar l’odioso balzello. Oppure addirittura travestirsi da hutong, maglietta grigia, una piantina di gerani in mano, una bandierina cinesi piantati nei capelli, un po’ di spazzatura sui piedi ed un corteo di nonni e nonne intorno a te che giocano a dama o semplicemente fanno casino. Mi sono convinto, vado a reclutare il mio corteo personale giù in cortile!

martedì 29 settembre 2009

questi son supporters!

 Ieri ha inaugurato a Beijing una nuova linea della metropolitana. Ci sarà tempo per visitarla e fare il punto sull'odore che ci sarà (dal momento che aglio, cipolla, sudore e fiatella sono già stati assegnati ad altre linee ho paura per quello che mi aspetta). La settimana scorsa ero a Seoul, mi piace ricordare il popolo coreano con questo video. Genialità o danni collaterali dell'uso smodato del telefonino?


http://tv.repubblica.it/copertina/corea-un-lcd-umano/37366?video

lunedì 28 settembre 2009

Le mie mascotte per la festa

 Come sa chi vive o lavora qui (o lo ha fatto in passato) il week end che precede la festa della Repubblica popolare cinese non ci si riposa, si va tutti a scuola o in ufficio. Ufficialmente le vacanze durano 3 giorni, ma in questo modo si possono attaccare altri 2 giorni preziosi per chi decide di viaggiare, per farsi un giro o tornare alle proprie città. Il bombardamento di informazioni a riguardo, di documentari e di speciali sulla storia cinese potrebbe aver sorpassato anche la frenesia olimpica dell'anno scorso; mi dispiace solo che non abbiano istituito delle mascotte, io avrei avuto delle idee da proporre: Martellinho (alla brasiliana) e Falcenin (di ispirazione sovietica). Il primo vorrebbe essere un figo ma non ci riesce, prova di abbigliarsi come i suoi amici martelli occidentali, mette collanine, si appassiona di sport e talvolta abbozza passi di samba o altri balli; si prende le sue sbronze, legge, guarda film, si interessa del mondo e delle altre culture non in maniera meccanica ma sincera. Ma poi arriva il secondo e gli appioppa uno scappellotto, gli ricorda di comportarsi a modo, gli rinfresca gli insegnamenti di Confucio e di Mao, lo mette in guardia da quei diavoli degli occidentali che non perdono occasione di bistrattare il suo paese usando a suo parere ogni pretesto possibile. Con la sua lama oramai senza filo rimugina ancora su passati lontani, e in segreto cova vendetta; continua a ripetere qualcosa riguardo a 5000 anni di cultura cinese, senza accorgersi che appare come chi ha un complesso di inferiorità e per ripararsi ostenta continuamente il proprio presunto valore.

sabato 26 settembre 2009

indice di civiltà

 Ci sono molti valori per misurare il livello di civiltà di una città. La qualità dei servizi, i livelli di inquinamento, la percezione dell'insicurezza, le possibilità di svago o la bellezza architettonica, e si potrebbe continua a lungo. Ho realizzato che Seoul è una città mostruosamente civile quando fermo ad un semaforo mi sono appoggiato con una mano su uno di quei piloncini metallici che di solito si trovano agli imbocchi dei marciapiedi per permettere il passaggio del pedoni ma non delle macchine. Nell'appoggiare la mano mi sono sentito cadere, abituato ad incontrare le resistenza del metallo, mentre quel piloncino si è quasi afflosciato sotto il mio peso. In un primo momento ho pensato che quanto di buono avevo visto fino a quel momento veniva vanificato in pochi secondi dalla scadente qualità di un banale elemento dell'arredo urbano, ma in poco ho capito che non era così, ma che anzi ero di fronte ad una incredibile soluzione di civiltà e amore per il cittadino: la metà superiore del pilone era infatti morbida, ricoperta di gomma dura ma soprattutto piegabile! Questo significa che lo sbadato coreano non deve preoccuparsi di camminare con lo sguardi perso nel cellulare, perchè qualora non vedesse il paletto, i suoi testicoli non si troverebbero ad impattare il freddo metallo ma lo scontro potenzialmente fatale sarebbe attutito e l'impatto assorbito! Ed il vizioso businessman che ritorna sbronzo da una cena di lavoro, può barcollare sereno consapevole del fatto che se casca addosso ad uno di quei paletti non rischia di perdere un occhio, ma al massimo un occhio nero. Queste sono soluzioni che fanno grande una città.

venerdì 25 settembre 2009

Seoul, una faccia tante città

A Seoul mi sono stupito che nessuno mi spingesse per strada, nessuno che sputava o “espettorava” rumorosamente, niente grida al cellulare o salti di file, niente puzze nauseabonde sulla metro e in bus, niente pattume buttato per terra a caso. Poi ho realizzato che non sono cose di cui dovrei stupirmi, che dovrebbero essere così di norma, e di conseguenza mi è salita lungo la spina dorsale la paura di aver trascorso troppo tempo in Cina. Nonostante la sua popolazione sia etnicamente compatta (tutti coreani, tranne occasionali stranieri e lavoratori immigrati da paesi musulmani) la città mi è apparsa come uno strano e piacevole ibrido: tra i palazzi moderni sbuca la cultura tradizionali, i mercati notturni, le bancarelle che vendono spiedini di pollo e polipo, ma anche gnocchi di riso immersi in salsa piccante ed una strana pietanza che sembra una salsiccia ma in verità è intestino di maiale ripieno di spaghetti di soia, serviti con fegato. Impiegati in completo, studentesse in divisa, lavoratori dei cantieri si fermano, ordinano, mangiano appoggiati ai bordi metallici di questi banchetti e poi via di nuovo verso i loro impegni, in terra non rimane nulla. Le signore che friggono frittelle alla cannella o cominciano ad arrostire castagne ti chiamano in maniera educata verso i loro prodotti; tutti i camerieri e gli inservienti ti porgono le cose allungando il braccio destro e appoggiando la mano sinistra sotto il gomito opposto, in quello che è il segno di rispetto ed educazione tradizionale. Le antiche regole del rispetto gerarchico confuciano esistono anche qui, meno sventolate che in Cina ma più applicate: quando si è a cena o al bar, è sempre il più giovane che serve al più anziano e così via, ma in maniera automatica, senza troppi inutili rituali. Magari non avrà la monumentalità di Beijing, ma ci sono palazzi perfettamente recuperati e servizi per i turisti che fanno impallidire anche i nostri italiani, e templi buddhisti, con i loro monaci ed i loro siti internet, per essere tradizionali ma al passo con i tempi. Ma nella città asiatica si nasconde qualcosa di sapore europeo, sarà per la presenza di molte chiese e di suore che sia aggirano in metropolitana, sarà la funzionalità delle infrastrutture o la pulizia che la fanno assimilabile ad una capitale nord europea: per strada ci sono pochi bidoni, mi han detto che li hanno tolti per paura che ci mettessero le bombe, ma non c’è nemmeno pattume per terra; le gente in genere non fuma per strada, si formano capannelli in zone defilate in cui si fermano i viziosi. Lo spazzino che svuota i rari bidoni provvede ad una immediata suddivisione dei rifiuti in base alla riciclabilità. Ma intorno a queste due città, o meglio al loro interno, esiste anche una città che mi ricorda metropoli nord americane che in verità non ho mai visto, eredità delle presenza americana tutt’ora in essere in Corea del Sud: centinaia di caffetterie e fast food, più le prime a dire la verità, che siano grandi catene oppure singoli bar, una particolare passione per le donuts ed il caffè. I giganteschi centri commerciali dove perdersi, i soldati delle basi americane in libera uscita, la presenza di chiese evangeliche e presbiteriane con tanto di croci al neon rosse sui campanili e predicatori che si aggirano per le strade armati di megafoni e del messaggio di Cristo.


Ma esiste anche una città italiana, esiste nelle insegne dei bar e nei nomi dei ristoranti: caffè Luca, caffè Pascucci (ce ne saranno centinaia), caffè Davinci, ristoranti dai nomi evocativi come Firenze 1984, che ricordano piatti tipici come Focaccino, oppure strane creazioni linguistiche come il ristorante Primo Bacio Baci e decine di altri. Quindi un po’ mi sono sentito a casa.

giovedì 24 settembre 2009

Seoul, una capitale tra i monti

 Di solito rifare il visto in Cina è motivo di patemi e scontri con le regole che cambiano e le complicazioni varie tipiche dei cinesi. Questa volta sono stato “costretto” ad uscire dalla Cina per farne uno nuovo, finendo più a est, per l’esattezza a Seoul; qualche centinaia di chilometri in direzione del sorgere del sole, e sono finito da un’altra parte del mondo, un’altra Asia. Non sono il primo, tra l’altro Napolitano è stato qui qualche giorno fa, quindi si è preso tutte le attenzioni che sarebbero state riservate a me. Sono arrivato all’aeroporto Incheon, da anni in cima alla classifica dei migliori hub del mondo, pulito, funzionale, silenzioso. Poi un tragitto di almeno un’ora per percorrere i settanta chilometri che lo separano dalla capitale sudcoreana a bordo di un autobus il cui autista dava il benvenuto a tutti quelli che salivano, zone industriali e poca campagna, fino all’ingresso della città vera e propria. Non ci sono stato abbastanza per poter dare giudizi sicuri, in fondo quattro giorni per affrontare una città di oltre 10 milioni di abitanti (21 se si conta l’intera municipalità), quindi mi limiterò alle cose che, da buon villico, mi hanno più impressionato. La prima è che Seoul è in montagna. O meglio, ha 8 montagne intorno e al suo interno, quindi dopo la piattezza di Beijing è stato un trauma ed allo stesso tempo un piacere camminare in salita e discesa, sconvolgendomi alla visione di grattacieli e condomini arrampicati sui versanti, con queste montagna che impediscono una visione d’insieme della città, nascondono le zone ed ingannano sulla reale dimensione. Nella parte più vecchia della città, a nord del fiume Han, le strade sono continue curve che salgono e scendono man mano che ci si avvicina al fiume. Questa conformazione significa difficoltà nel creare grandi arterie e tangenziali, quindi si è rimediato con un sistema di metropolitana incredibile, 291 stazioni per oltre 300 chilometri di linee; sono stato forse troppo tempo a Beijing e troppo digiuno di metropolitane europee, ma finalmente di nuovo una città in cui prendere la metro è comodo e non implica chilometri di cammino per arrivare ad una fermata. Le fermate principali nascondo enormi centri commerciali sotterranei. Tutto è completamente automatizzato, non esistono bigliettai ma sono distributori automatici e colonnine per ricaricare, che tra l’altro gli autoctoni usano assai poco. Come ho scoperto, in molti ovviamente hanno la tessera dei trasporti, ma in molti “strisciano” il cellulare, o un piccolo dispositivo attaccato al cellulare. Come mi è stato spiegato, il cellulare coreano (che non funziona con le sim come nel resto del mondo) è un attrezzo ancor più diabolico che nel resto del mondo: qui si striscia il cellulare per entrare in metro, nel bus, ma anche per pagare il conto o la spesa, funziona come bancomat e forse anche come purificatore per l’acqua. Io quindi rimanevo inebetito davanti a tali prodigi della tecnologia, realizzando che il seouliano non ha bisogno di portarsi dietro il portafoglio, gli basta il telefono. Tanta tecnologia però costringe lo straniero, impossibilitato ad usare il proprio telefono, ad un tuffo indietro nel tempo all’epoca dei telefoni pubblici a monete o scheda, una roba così retrò da essere già vintage, che mi ha riportato ai gloriosi giorni delle vacanze al mare del passato quando si faceva la fila ai telefoni a gettoni per chiamare casa. Qui però non c’erano file, anzi oltre a noi non ho visto nessuno usare i telefoni pubblici. Tutte le stazioni sono dotate di un armadietto con maschere antigas e altri strumenti di emergenza in caso di attacchi militari (non si dimentichi che formalmente le due Coree sono ancora in guerra, non essendo stato firmato ancora un vero armistizio, ed ogni tanto il vicino del nord minaccia di scaricare qualche testata nucleare su Seoul) ma anche torce elettriche nonché accessori più frivoli come uno specchio dotato di pettine per chi volesse mettersi a posto dopo uno stressante viaggio. Il pettine era li, o nessuno lo ruba o ne mettono ogni giorno uno nuovo. Per strada ci sono quasi esclusivamente macchine coreane, anche in questo si riscontra l’orgoglio nazionale, e in mezzo a macchine e bus sfrecciano centinaia di moto e scooter con bauli pieni dei generi più vari: sono corrieri privati che con le moto arrivano ovunque, guidano da paura e a volte invadono anche i marciapiedi ma in maniera quasi civile. Nell’ora di punta il traffico è mortale come qualsiasi città. Ma qualcosa è diverso: in quattro giorni ho sentito suonare il clacson 3 volte. Decisamente è un’altra Asia...


sabato 19 settembre 2009

Un po' più ad est

 Nei prossimi giorni il black cab si trasferirà momentaneamente a Seoul, Sud Corea. Voci di corridoio vogliono che l'autore sia stato convocato per aiutare le autorità mondiali a risolvere l'annosa questione del nucleare nordcoreano. Altre voci dicono invece che stia semplicemente andando alla ricerca dei pesci al cioccolato che da tempo a Beijing non si trovano più. I più maligni invece affermano che oramai sta raschiando il barile e dunque è costretto a muoversi ancora più ad oriente per trovare materiale per i post. 


La verità sarà svelata nei giorni a seguire...

venerdì 18 settembre 2009

Certe notti a Beijing

 Fuori dal finestrino scorrono filano via i neon delle insegne dei ristoranti, sul cofano si riflettono le luci ancora accese di uffici in alti palazzi di vetro colorati di verde e azzurro; tra cavalcavia e sottopassaggi si sfiorano auto sportive, piccole utilitarie grottescamente customizzate ed enormi autocarri minacciosi. Davanti alle policrome entrate dei karaoke stazionano giovani cinesi, la loro serata sta per finire mentre altrove si è solo all’inizio delle danze. Si sbarca a Sanlitun, il centro ideale della vita notturna di Beijing, in quella jiubajie, letteralmente “la via dei bar” esplosa negli ultimi anni. Sul lato orientale della via, come fossili di un’epoca lontana si allineano i bar della prima ora; hanno conservato il loro aspetto di locali destinati ai primi cinesi facoltosi ed agli uomini d’affari stranieri in missione all’estero: enormi insegne di famose marche di alcolici, invece di un nome spesso un anonimo numero, interni dai colori dannosi per l’occhio umano, i camerieri che ti invitano ad entrare e spesso un complessino all’interno che suona pessime cover di classici americani del passato o melense canzoni cinesi odierne. Bisogna camminare un attimo ed addentrarsi nel lato occidentale, dietro alle luci ed all’ordine del Village, per entrare nel cuore della movida di Beijing. Ad un primo sguardo sembra che un architetto celeste strafatto di gas di scarico ed erguotou, un popolare superalcolico pechinese noto per il suo sapore acre ed i suoi effetti traumatici, abbia creato un delirio di architetture male assortite: da una parte complessi abitativi anni Settanta di sapore socialista, dall’altra le strutture moderne del 3.3 Mall e del Tongli Studio; poi vicoli stipati di bar fino al capolavoro di design che è l’hotel Opposite House. Questi sono i templi che ospitano i santuari del weekend, nel vicolo i locali più piccoli, dentro ai monoliti i club più grandi. Addentriamoci dunque qui dove la temperatura sale, letteralmente, di almeno un paio di gradi nelle notti d’estate; il calore si insinua tra la massa di ragazzi e ragazze che si muovono da un locale all’altro seguendo itinerari alcolici che si rinnovano a seconda delle tendenze. Macchine e scooter provano di insinuarsi tra la musica che esce dai locali e le bottiglie vuote buttate a casaccio, i loro clacson si sovrappongono ad un delirio linguistico dove il cinese è lingua franca utile per ordinare da bere o qualche spiedino dai venditori di strada. Ci sono bar minuscoli, negozietti con frigorifero all’aperto, piccoli ristoranti a cui si accede tramite traballanti scale esterne, tavolini sporchi e panchine su cui si accascia il collassato di turno; ai lati della strada venditori di sigarette contribuiscono a rendere la viabilità impossibile. Il vicolo svolta, diventa ancora più stretto complici le sedie ed i tavolini di altri bar, lo si percorre a spallate nel chiasso di brindisi, strette di mano, sudore, l’occasionale urto con il barcollante, e qualche mollante, di turno; si arriva alla fine, nel luogo eletto da chi non vuole fare la fila nei bagni per urinare o da chi vomita quello che ha bevuto nel tour de force di club e bar. Da nord ovest, dalle lontane lande delle Università di Wudaokou, si vedono calare orde di studenti pronti a scaricare le fatiche dello studio ed il testosterone, da sud est salgono i lavoratori desiderosi di sciogliere nel bicchiere e nella musica la settimana passata seduti in ufficio, le masse si scontrano e si mischiano con gli autoctoni più trendy, in mezzo zigzagano bimbette che vendono rose, dallo sguardo ingenuo ed allo stesso disilluso. Per terra comincia a stendersi uno strato di spiedi di legno, cocci, cartacce; qualcuno si siede su di un muretto per evitare di crollare a terra, qualcuno riemerge da un club per rifiatare. Si entra ed esce da Kai, Butterfly, Smugglers, drink dozzinali dal sapore discutibile e dall’effetto velenoso vengono prodotti a ciclo continuo: sopra le teste volteggiano lunghi e stretti vassoi con decine di bicchierini di tequila, bottiglie di birra Qingdao, ginlemon che sarebbe meglio utilizzare come stura lavandini. Nelle piccole piste da ballo ci si scatena a ritmo di hip-hip, house, classici del rock ballabile, a seconda dei gusti del dj o del locale. Il tasso alcolico sale, i pavimenti si fanno appiccicosi, cominciano gli abbordaggi e i flirt in pista. Qualcuno corre al bagno a rimettere, qualcuno viene portato fuori a spalla. Passano le ore ma non cala la temperatura, saliamo allora al Kokomo sperando di trovare refrigerio nella sua terrazza all’aperto, ma ci si ritrova schiacciati tra centinaia di persone che avevano avuto la stessa brillante idea, con in aggiunta il pericolo di volare già causa spinta o svarione. Entriamo al club China Doll per godere un attimo dell’aria condizionata, presto storditi dalla musica altissima, dalle camicie aperte fino all’ombelico e da un drink a base di Chivas Regal e tè verde, un vero must a queste latitudini. Più a sud Tun e Nanjie, locali tra i preferiti dagli studenti cominciano a registrare i loro tutto esaurito; ma di fronte fa bella mostra di sé il Salsa Caribe dove andiamo a slegare i fianchi insieme alla grande famiglia sudata e forzatamente sensuale dei latinos, che a Beijing divengono quasi una caricatura di loro stessi e di tutti i luoghi comuni a riguardo. Dopo lo stress caricato grazie all’ascolto di un’orchestrina messicana e dalla visione di cinesi aspiranti ballerini caraibici è meglio concedersi due passi fino allo Stadio dei Lavoratori, attorno al quale sono sorti irrispettosi del luogo megadiscoteche: una grande statua alata di epoca maoista vigila sul Mix, prediletto dalla gioventù coreana di Beijing quando decide di non stare rintanata nei propri bar a Wudaokou, e sul Vix, esattamente al lato opposto, dove l’hip hop la fa da padrone. Stanchi di ritmi elettronici e basi sintetiche lasciamoci trascinare dall’odore di sudore e birra rovesciata fino al MAOlive o allo Yugongyishan per scuotere la sempre più rada chioma sulle note di punkrock ed heavy metal: qui staziona la gioventù alternativa cinese, ecco i piercings, i tatuaggi ed i dreadlocks, ragazzi con creste appena uscite dalla Londra dei Settanta e truci profeti del metalcore con pantaloni militari al ginocchio e cappellini da baseball neri; dentro milioni di decibel distorti e corpi che cozzano fino allo sfinimento


Quale che sia la direzione che prende la notte di Beijing, inevitabilmente se ne esce con le orecchie doloranti, gli occhi arrossati dal fumo ancora ben presente nei locali ed un mal di testa preventivo. Le ore passano, il rosario dei locali comincia a giungere al termine: mentre in piazza Tian’anmen i turisti aspettano l’alba per vedere sorgere il sole insieme alla bandiera nazionale, dai locali e dalle discoteche escono i guerrieri del weekend, si stropicciano gli occhi alla prima luce di una giornata che vivranno a metà e barcollano fino al taxi più vicino, pregando in cuor loro di azzeccare l’indirizzo e non ritrovarsi dalla parte opposta della città.  

mercoledì 16 settembre 2009

No fly zone, Beijing

L’aggiornamento quotidiano cinese riguardo alle misure di sicurezza prese per le celebrazioni del I ottobre sta divenendo qualcosa di assillante, ed in alcuni casi ridicolo. Oggi il focus è sul divieto imposto a qualsiasi oggetto volante (aerei di linea esclusi ovviamente) per tutto il periodo dal 15 settembre al 2 ottobre in un raggio di 200 chilometri da piazza Tian’anmen. Il divieto riguarda tutti i voli di tipo turistico o sportivo, ma non solo. Bersaglio del divieto sono anche i pericolosi aquiloni, che qui si librano molto alti in cielo, anche se per loro il raggio è ristretto al centro città, quindi i nonni nei parchi si dovranno decidere: o la smettono di bullarsi di riuscire a far volare ad altezze siderali i loro aquiloni pilotati da enormi mulinelli con i quali potresti pescarci un’orca, oppure dovranno farsi un giro nelle estreme periferie cittadine. Ma il pericolo si annida altrove: è stato espressamente vietato anche di usare palloncini e mongolfiere promozionali, ed ultima ma non meno importante è stata dichiarata guerra ai piccioni. Si, i piccioni, proprio per prendersi cura di loro all’aeroporto di Beijing, dove hanno già cominciato ad arrivare gli aerei militari che prenderanno parte alla grande parata celebrativa, è stata istituita una squadra speciale di soldati che hanno addestrato 14 falchi alla caccia al malcapitato pennuto, in modo che nessuno si azzardi a disturbare le manovre dei topgun. Il pericoloso uccello controrivoluzionario infatti, oltre a portare malattie e cagare sulle statue dei padri della patria, sembra essere fermamente intenzionato a sabotare i voli. Forse nei prossimi giorni sverrà smantellata una cellula di vecchi addestratori di piccioni intenti a cercare il colpo grosso per rivendicare il loro diritto a far volare gli aquiloni. Tutto freme, la macchina organizzativa della celebrazione non si ferma, i soldati a piazza Tian’anmen segnano sul selciato i posti per gli invitati d’onore, nelle notti dei week end si tengono le prove generali con tutto il centro cittadino rigorosamente off-limit; lo stesse notti testimoniano anche rumori diversi dai soliti tiratardi ubriachi e clacson, brontolii di sottofondo che qualcuno dice essere i carri armati che cominciano a convergere sulla capitale. La polizia oramai è ovunque, capita di girare l’angolo e trovarsi di fronte minacciosi figuri in passamontagna e armi spianate. Io nel trambusto generale provo di capire l’immane spiegamento di forze ma vengo spiazzato da queste notizie, non perché mi sembra quantomeno strano concentrarsi su piccioni ed aquiloni, quanto per una mancanza pericolosa. Quale dipartimento di è preoccupato di assicurarsi che a guastare la festa non arrivino gli Ufo? Siete avvertiti dunque Et, Alf, Mork e chiunque altro provi a sorvolare Beijing in quei giorni.

lunedì 14 settembre 2009

La barca dell'amore

 La settimana scorsa mi sono trovato tra le mani una copia del City Weekend, un settimanale sulla vita di Beijing, e quando arrivo alla sezione “foto della vita notturna” cosa ci trovo? Una bella istantanea di me ed il mio amico Toni ad una festa al The Boat, letteralmente una barca ferma in un canale di Beijing trasformata in un club. Bell’idea, peccato che ultimamente sia diventato un club gay; noi ne eravamo ignari, l’abbiamo scoperto quella sera stessa (anche se le malelingue diranno che lo sapevamo benissimo) e ci siamo trovati nella bolgia della scena omosessuale cinese. Circondati ma marinaretti abbiamo sorseggiato una birra, colti da supremo terrore quando abbiamo visto che fuori era in corso un temporale: lampi e scrosci d'acqua ci hanno fatto temere il peggio, la possibilità che cedessero gli ormeggi e che ci ritrovassimo a vagare per i canali pechinesi alla deriva su di un barcone su cui non smetteva mai di suonare YMCA. Fortuna le funi hanno tenuto, ma siamo incautamente finiti vittime di un fotografo, forse destinati a divenire icone gay del futuro!


Scherzi a parte la scena gay è più viva che mai, ci sono locali specializzati, feste a tema e rubriche sui magazine. Non è ancora socialmente accettata (ma in fin dei conti dove lo è?) ma almeno non è più nemmeno punita come malattia mentale. Ma la notizia dell’ultima ora è che sembra che anche Piazza Italia, il centro commerciale italiano a Beijing, voglia organizzare una serata gay-friendly, presumibilmente il martedì sera; a quanto pare vogliono rimediare così alla clientela scarsetta del bar e del ristorante che la si trovano. Dovremmo quindi dire addio all’idea di esportare l’immagine del macho sciupafemmine italiano? I nostri virilissimi salami e ammiccanti crostini diverranno in poche settimane icone gay? 

sabato 12 settembre 2009

Il ritorno degli studenti

 In questi giorni riniziano nelle università i corsi di lingua cinese per stranieri: arrivano da tutte le parti del mondo per studiare cinese, e cambiano le dinamiche della vita notturna pechinese. Fino ad un paio di settimane fa il Tun ed il Nanjie, due delle più note bolgie di studenti stranieri, non erano esattamente vuoti ma non facevano nemmeno i pienoni dei mesi autunnali. Ieri avevo appuntamento con gli amici davanti appunto al Nanjie, ed ero curioso di indagare quale fosse il trend della clientela per questa stagione autunno-inverno. Sono invece precipitato in un incubo: gli studenti sono si arrivati, ma erano gli studenti del liceo francese di Beijing, un'orda malefica di minorenni ubriachi e chiassosi in uscita libera, ragazzini tra i quattordici ed i diciotto anni sbronzi, ragazzine loro coetanee vestite (o svestite) come le loro sorelle maggiori, bottiglie rotte, un ragazzino che vomitava dietro ad un vaso, bambine fradicie che si accasciavano lungo la strada, una visione apocalittica, e poi tutto quel parlare francese, roba da orticaria. Mi sono seduto su un muretto in attesa, una parte della masnada è venuta a far chiasso proprio li, ragazzini barcollanti che mi si appoggiavano, poi il coraggioso della situazione che mi rivolge la parola, forse scambiandomi per uno poco più vecchio di lui essendomi io fatto la barba ed essendo la sua visione deformata dai ginlemon. Mi chiede se vado al nanjie spesso, perchè non mi ci ha mai visto (sarà che esco quando lui va a letto) e poi addirittura mi da consigli di vita, mi invita a venirci più spesso al venerdì pomeriggio che c'è l'happy hour, così magari ci facciamo una bevuta insieme, poi mi mette in guardia dal bullo del gruppo, quello che quando è sbronzo picchia tutti, mi invita a starci alla larga. Poi grazie al cielo se ne va lasicanosi alle spalle puzza di alcool e famiglia benestante. Poi fortunatamente ho visto arrivare da lontano quelli che stavo aspettando. Raramente sono stato così felice di vedere stempiature e petti villosi.

venerdì 11 settembre 2009

Follie per un cane

 La prima pagina del China Daily di oggi è occupata per metà dal forum economico mondiale che si sta tenendo a Dalian, per un quarto dalla notizia di arresti per gli attacchi con le siringhe che in questi giorni sembrano infiammare il Xinjiang, e per l’altro quarto dalla fondamentale notizia dell’accoglienza regale riservata ad un cane, per la precisione un mastino tibetano, acquistato da una signora della città di Xi’an. Il molossoide, pagato la bellezza di 4 milioni di yuan (circa 400000 euro, ossia quasi 2500 degli stipendi della guardia del mio compound)  è arrivato in aereo dalla provincia del Qinghai, ed è stato accolto da un corteo di 30 Mercedes che lo hanno scortato fino alla sua nuova residenza. Al suo collo era stato avvolto un fiore si seta rosso, tradizione riservata agli eroi o agli sposi; l’articolo inoltre specifica come il cane vivrà in una stanza con l’aria condizionata e berrà solo acqua minerale. La padrona sembra essersi giustificata dicendo che il cane è un animale sacro, leale e fedele al padrone, io mi sento di dire che avrebbe dovuto prenderlo un paio di anni or sono, quando era in corso l’anno del cane, mentre ora sarebbe stata più azzeccata una bella mucca. Ironia a parte, le reazioni sono state prevedibilmente di due tipi: qualcuno ha detto che la signora in questione con i suoi soldi può fare quello che vuole, qualcuno invece ha stigmatizzato un tale uso di denaro in un paese dove i poveri sono ancora milioni. Io mi chiedo ancora cosa ci facesse questa notizia in prima pagina, e mi chiedo anche se la stessa notizia sia passata anche sulle prima pagine dei quotidiani in cinese. Deng Xiaoping disse negli anni ’80 “Arricchirsi è glorioso” scatenando le forze imprenditoriali cinese anestetizzate dal maoismo, avviando quello sviluppo di cui la Cina odierna è figlia; ma il cittadino cinese non baciato dalla nuova ricchezza, e ce ne sono molti, non potrebbe sentir nascere dentro di sé un antico sentimento di lotta di classe al vedere queste discutibili dimostrazioni di ricchezza? O forse in lui nascerà un sentimento di emulazione, il desiderio di arricchirsi a scapito di tutto e tutti per potersi magari comprare un maiale e vestirlo Armani?


Ma soprattutto, i cinesi amano i cani tibetani più che i cittadini tibetani?

giovedì 10 settembre 2009

Tutti amiamo il meltin'pot!

Cinesi non ne posso più di voi, delle vostre unghie lunghe che spurgano orecchie, della vostra puzza di aglio, della linea della metropolitana n.13 che sembra che prima di arrivare alla stazione sia passata dentro ad un enorme bidone; e voi neri, africani o di qualsiasi altro paese, basta essere la caricatura di voi stessi, con la vostra sessualità spinta, i vostri balli tanto sensuali quanto grezzi, il vostro spaccio agli angoli delle strade ed il salutare tutti “Yo bro” ma quanti diavolo di fratelli avete? Per favore messicani, smettetela di essere delle macchiette, ne ho abbastanza dei vostri sombreros di cui andate tanto fieri, del dover sempre mangiare piccante e ascoltare squallida musica che fa sembrare Speedy Gonzales un pezzo da antologia. Voi coreani invece, se dovete venire a Beijing e chiudervi nei vostri ghetti, tanto vale rimanere a Seoul, spero che vi venga il raffreddore a forza di girare semi nudi anche in inverno visto che gli indumenti pesanti non sono per nulla trendy. Voi kazaki invece perché non ve ne tornate nel vostro paese di cui siete tanto orgogliosi? Sembrate cinesi, parlate russo, attaccate briga con tutti forti del vostro numero, se sparite nessuno sentirà la vostra mancanza. E voi russi, si dico a voi con i vostri suv comprati dal papà, che sarà come minimo colluso con la mafia, ed i vostri vestiti griffati di pessimo gusto, avete fatto la fame fino alla settimana scorsa e adesso guardate tutti dall’alto in basso. Voi musulmani osservanti invece, provenienti dalle più svariate nazione, che avete invaso l’Università negli ultimi tempi, dove credete di essere, alla Mecca? Non sapete come si usa il rasoio? Ve lo posso spiegare, poi voi mi spiegate perché i musulmani di Beijing invece si riconoscono a malapena. Ecco li invece gli italiani, sempre a lamentarsi che in Cina non si riesce ad avere un espresso come Dio comanda, ma allora tornatene al tuo bar sport e bevine fin che vuoi; arrivano a frotte, o sono griffati e conciati come novelli Corona e Canalis, oppure giovani alternativi che si stupiscono di non trovare i paesaggi da cartolina o il maoismo, salvo poi pontificare sulla Cina intera dopo una settimana che vi hanno messo piede. Ed inevitabilmente arriverà il giorno in cui qualcuno, con tono certo di chi la sa lunga, ti dirà “Ah ma questa non è la vera Cina”, magari dopo essersi fatto un viaggio da vero duro nello Yunnan insieme ad altri mille come lui. Se è questa lo cosa più intelligente che ti è venuto da dire dopo mesi passati a Beijing, potevi startene a casa.


(liberamente ispirato ai monologhi “razzisti” dei film di Spike Lee)

 

Settimane fa ho letto un articolo che metteva in luce che esperienze come l’Erasmus o in generale lo studio all’estero, ed immagino di conseguenza, anche se in maniera diversa, di lavoro, portano si ad un’apertura mentale, ma non necessariamente ad una accettazione dell’altro. Anzi, stupefacente, spesso tali esperienze rinsaldano o ricreano un legame con la propria realtà di partenza che in precedenza si era sfilacciato, una volta che viene messa a confronto con le altre migliaia di realtà che esistono al mondo. L’importante è mantenersi ironici. 

martedì 8 settembre 2009

L'aria cambia, cambiano gli odori

Quando l’autunno arriva a Cento, lo riconosco dalle foglie che ingialliscono, dalle prime sporadiche nebbie, dai vestiti lunghi ed una generale tristezza nell’aria. Qui a Beijing riconosco l’arrivo di questo autunno anticipato grazie ad altri indizi. L’aria si è fatta pulita, si vedono le stelle in mezzo ai grattacieli, sfidano coraggiose l’inquinamento luminoso della metropoli. L’aria porta odori più definiti, nel cortile di casa arriva il profumo degli spiedini cotti nel vicolo qui vicino, siano chuanr o malatang poco importa; ma anche le patate dolci cotte in rudimentali pentoloni ricavati, la leggenda metropolitana vuole, da vecchi bidoni metallici di industrie chimiche, e non mancano nemmeno le castagne arrosto, più dolci di quelle che troviamo per strada nella bassa padana. L’aria racconta già di ottobre ma potrebbe essere solo un falso allarme. Nel cortile ci sono meno bambini che giocano, le scuole sono ufficialmente iniziate lunedì, quindi nel primo pomeriggio è tristemente vuoto. Ci sono ancora i vecchi che si sgranchiscono; non ci sono più le mamme con le carrozzine: fino a pochi giorni fa si radunavano a parlare a fare aria ai neonati nei passeggini, quasi che una sola goccia di sudore avrebbe potuto compromettere la loro salute; ora saranno in casa a sentirsi bombardare di notizie riguardo alla nuova influenza che anche qui come in Europa tiene banco, con lo stesso carico di allarmismo e preoccupazioni, speriamo, vane. Forse il governo, sembra sulla corda per paura di scandali alimentari,ambientali e sanitari, mette le mani avanti questa volta, avendo preso coscienza che se si toccano i bambini, non c’è Partito che possa fronteggiare la rabbia dei genitori. 

lunedì 7 settembre 2009

Alcuni personaggi di queste parti

 Ha gli occhi stretti, i capelli sembrano cotonati e sollevati con il gel. Avrà sui 40 anni, indossa pantaloni scuri, una camicia gialla a maniche corte, brutti mocassini e calzini blu quasi trasparenti. Ha le gambe accavallate, la gamba che sta sopra scopre il sensuale calzino. Agita continuamente la gamba sotto, muove su e giù il tallone così forte da far vibrare tutto il busto. Con una mano di massaggia continuamente la coscia. Da continui colpetti di tosse secca emettendo ogni volta un suono stridulo. Parla a voce altissima con una signora, un cacofonico accento di qualche provincia che non conosco. Risponde al cellulare ed urla come se fosse l’unico uomo nel mezzo di un deserto. Alterna strilli al telefono a risate fastidiose a frasi ironiche rivolte alla signora che sta con lui. Vorrei prendere il suo squallido mocassino e sbatterglielo in fronte con forza. A volte i cinesi riescono a mettermi di pessimo umore praticamente senza fare niente di strano. Fortuna che poi ritorno al mio condominio dove la guardia mi saluta con un sorriso largo, usando saluti molto formali ma si capisce che non lo sta facendo per obbligo; altre guardie mi salutano perché lo devono fare, altre ancora mi ignorano semplicemente. Lui invece saluta e sorride, e mi fa dimenticare in un attimo l’uomo all’ufficio dei visti, i pechinesi che nonostante le campagne non hanno ancora imparato come si gestisce la salita e la discesa dalla metropolitana, le brutte suonerie dei cellulari disperse a volume esagerato, le unghie lunghe i peli lasciati crescere liberamente sui nei e le pubbliche sturate di orecchie e naso. Nonchè il tipo che ieri stava fermo appoggiato al recinto metallico che racchiude l’aiuola vicino alla fermata del bus. Stava la fermo, con la parte bassa del corpo appoggiata al metallo; solo quando si è mosso ho capito che stava pisciando dentro all’aiuola, dissimulando il nobil gesto fingendo di essere li a godersi il panorama di macchine ed autobus. Buongiorno Beijing!

venerdì 4 settembre 2009

Notizie sparse in un pomeriggio di nebbia

 Dalle mie quotidiane rassegne stampa emerge uno strano ritratto della Cina: a Beijing si continua a potenziare l'apparato di sicurezza in vista delle celebrazioni del I ottobre: cani poliziotto sguinzagliati a controllare le possibili autobomba, nuovi contingenti di polizia e militari in arrivo, addirittura una sera ho potuto vedere un mezzo blindato a controllare il ponte di Dongsishitiao. Anche le guardie del mio compound si sono mobilitate, ora stanno addirittura alle porte di ingresso dei singoli palazzi a controllare chi entra e chi esce; fortuna che sono qui da un po' e mi sorridono ancora, tranne uno arrivato da poco, 18 anni al massimo, che mi guarda truce. Alto un metro e mezzo, inghiottito da una divisa troppo grande, basterebbe fargli BUH per spaventarlo. Fuori da Beijing invece il caos: attacchi con siringhe potenzialmente infette nello Xinjiang, una protesta contro una fabbrica inquinante in una città del Fujian trasformatasi in guerriglia urbana, proteste nel centro Cina per lo scandalo dei bambini avvelenati da emissioni al piombo. Stranamente è tranquillo il Tibet, meno Taiwan dove il Dalai Lama è appena stato in visita. Confronto spesso le notizie cinesi, ossia l'agenzia Xinhua ed alcuni quotidiani in inglese, con i corrispettivi italiani: non starò a perdere tempo ribadendo che la stampa cinese è di parte, non perchè non sia vero, ma perchè la stampa italiana lo è altrettanto, con la differenza che almeno in Cina sai come affrontarla, mentre la stampa italiana pretende di essere obiettiva ma non lo è quasi mai. Dunque la Cina è sempre presentata in maniera quantomeno particolare: con una personale banalizzazione estrema, i quotidiani di centro destra odiano la Cina perchè è piena di comunisti (nonostante il fatto che di comunista sia rimasto solo il nome) che non ne fanno una fatta bene. Quelli di centro sinistra odiano la Cina perchè non rispetta i diritti umani (o forse perchè non sono più comunisti ma ne hanno ancora il nome). I cattolici odiano i cinesi perchè non sono cattolici, o almeno non tutti, e si ostinano ad ignorare le direttive del Vaticano. Gli ecologisti odiano i cinesi perchè inquinano, gli animalisti perchè mangiano gli animali e li maltrattano. Io stesso probabilmente non sono obiettivo, perchè vedo solo una parte del tutto, un tutto che è talmente enorme e variegato che fa risultare ridicolo chi, troppo facilmente, riduce ogni avvenimento ad una conseguenza di una decisione del Partito Comunista.


 

giovedì 3 settembre 2009

c'era una volta un allegro autista abusivo

 Tempi duri per i black cabs a Beijing. Dal primo luglio è in vigore una legge per eliminarli dalle strade, accusati di essere un pericolo per gli ignari viaggiatori che possono essere derubati una volta saliti a bordo. Tralasciando il fatto che io sono stato derubato da un tassista ufficiale, probabilmente sono valse di più le proteste dei tassisti ufficiali, che regolarmente inscenano proteste e blocchi lamentando la concorrenza sleale dei tassisti neri. Oggi sono stati pubblicati i dati della campagna di sicurezza: 17000 tassisti abusivi inquisiti, 51 arrestati e 2200 rinviati a giudizio. Centinaia di macchine finite allo sfasciacarrozze. 30 aree chiave di Beijing sotto soreveglianza per fermare questo "pericolosissimo" fenomeno. E allora io ripenso a quel tassista abusivo che mentre la delegazione 1 era qui ci ha caricato non in 4 ma 5 attraversando mezza città per riportarci a casa. A bordo ero troppo impegnato a ridere della situazione e pregare dis cendere vivo da quella macchina, non pensavo ai rischi che poteva correre l'autista. Magari quella stessa macchina, o quella di quell'altro tipo gracilino che ci aveva scarrozzato il giorno prima adesso sono solo un cubo di lamiera. Magari quel tipo gracilino ora gira in bicicletta, ora che la sua mini utilitaria è stata distrutta. E pensare che quel giorno era stato l'unico a fermarsi per caricarci, dopo che diversi tassisti ufficiali ci avevano visto ed erano passati oltre. Quindi Beijing ha già perso molti dei suoi hutong, e adesso gli vogliono togliere anche i black cabs. Ho paura che il prossimo ad essere eliminato sarà il gongbaojiding, meglio noto in Italia col nome ingannevole di pollo stile impero.


Ma se poi le autorità decidessero di scagliarsi contro il mio blog, solo per il suo nome, scambiandolo per una piattaforma telematica di aggregazione di tassisti abusivi?Manderanno il mio pc allo sfasciacarrozze?

martedì 1 settembre 2009

I cinesi ed il calcio

Se si dovesse giudicare la passione dei cinesi per il calcio dalle immagini della Supercoppa italiana giocata qui a Beijing, si potrebbe pensare ad un paese di fanatici del pallone. Lostadio riempito, i tifosi ad attendere i giocatori all'aeroporto, le migliaia di magliette di Inter e Lazio vendute...ma non è proprio così. Forse solo Beijing se la cava bene, lo Stadio dei lavoratori si riempie quando gioca la squadra locale, il Guoan. Domenica ero in giro da quelle parti, ovunque ragazzi e ragzze con maglie verdi, bandiere verdi e bandane verdi. Per un attimo ho sognato di essere finito a Teheran durante le manifestazioni post-elezioni. I bagarini per strada, i venditori di trombette e altri attrezzi per fare rumore. Mancavano solo i celerini, quindi metà del fascino della manifestazione sportiva era perso. Poi alla sera, nell'attesa di vedere in diretta Roma-Juventus (ringrazio ancora Beijing television per averla trasmessa) ho guardato distratto un programma tipo Domenica sportiva, con le immagini da tutti gli stadi: tutti praticamente vuoti. Stadi nuovi, o rimessi a nuovo, magari costruiti con la promessa che il calcio avrebbe inevitabilmente sfondato anche qui come in Giappone o Corea. Promessa non mantenuta, e tristi strutture occupate solo da pochi gruppi di simil ultras. Tutte le squadre hanno giocatori stranieri, chissà forse attirati da buoni ingaggi, o forse sono studenti che nel tempo libero si dedicano al professionismo calcistico cinese...


E poi, in mezzo a tanti volti per me sconosciuti, intravedo una chioma riccioluta ed una barba nota: Damiano Tommasi! Proprio il buon samaritano ex Roma, è finito a giocare a Tianjin, la città portuale non troppo lontana da qui, famosa, tra l'altro, per essere stata l'unica sede coloniale italiana in Cina nelle prime decadi del Novecento, presenza di cui rimangono a testimonianza le architetture liberty nonchè il progetto per renderla il centro della contemporanea presenza italiana in Cina. Gli inglesi avevano Hong Kong, e le hanno lasciato in dono il fiuto per gli affari e la common law. I tedeschi avevano Qingdao, e qui i cinesi hanno affinato la loro arte di birrai. I portoghesi erano a Macao, vi hanno lasciato il gioco d'azzardo. Noi avevamo Tianjin, e gli abbiamo lasciato...Tommasi!