venerdì 30 ottobre 2009

Il piombo e la Cina








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15000: questo è il numero dei cittadini che dovranno essere trasferiti a causa dell’avvelenamento da piombo del territorio dove sono vissuti fin’ora. Siamo a Jiyuan, provincia cinese dello Henan, il cuore dell’industria di fusione del piombo cinese. L’allarme per l’avvelenamento da piombo era stato lanciato il 20 agosto in seguito ad uno scandalo analogo avvenuto nella confinante provincia di Shaanxi; le indagini mediche lanciate dalla autorità hanno confermato, lo scorso 14 ottobre, che almeno 1000 bambini presentano i segni dell’avvelenamento, ed è quindi stato deciso il 17 ottobre il trasferimento forzato verso zone sicure, identificate in villaggi distanti almeno 4 chilometri dalle aree contaminate. Questo di Jiyuan è solo l’ultimo, in ordine cronologico, degli scandali al piombo che hanno scosso tutta l’estate cinese e continuano ad emergere con preoccupante frequenza, indice di un problema che è tutt’altro che circoscritto. In principio furono i casi di Wudang, nella provincia dello Hunan, e della contea di Fengxiang nello Shaanxi: almeno 2000 bambini avvelenati, con percentuali di piombo nel sangue allarmanti, il cui accumulo danneggia il sistema nervoso e quello riproduttivo, e può portare a ritardi nello sviluppo ed in casi estremi al coma e alla morte. L’inquinamento dell’ambiente da metalli pesanti minaccia la salute dei cittadini in particolare nelle regioni più remote della Cina: è qui che si sono trasferite molte delle industrie inquinanti dopo essere state costrette a chiudere in altre province; in queste contee povere ogni tipo di investimento è benvenuto, con la connivenza delle autorità locali, che in nome della crescita economica mettono in secondo piano la protezione ambientale, come ha ammesso lo stesso vice sindaco di Wugang, Lei Zhanglin. Si assiste ad una sorta di versione microscopica del processo analogo vissuto dalla nazione cinese nelle decadi passate, quando una Cina sulla strada dello sviluppo diveniva la destinazione finale di industrie altamente inquinanti costrette a chiudere nelle loro nazioni dalle nuove legislazioni ambientali. L’impianto Dongling contribuisce al 17% del prodotto interno lordo della contea di Fengxiang, e proprio questa importanza economica l’avrebbe messo al riparo dalle leggi per la protezione ambientale, in maniera analoga a quanto successo per l’impianto di lavorazione del manganese Jinglian, che avrebbe causato le intossicazioni a Wugang e che in un secondo tempo si è scoperto operare in regime di illegalità. Secondo Liao Ming della Società cinese per la riforma economica questa mentalità è ancora largamente diffusa, si tende ad aggirare la normativa riguardo alle emissioni, comunque presente, qualora vada ad intaccare i dati economici: gli stessi uffici per la protezione ambientale difficilmente bloccano i progetti industriali approvati, perché proprio da quei progetti arrivano i fondi per gli uffici stessi, in un pericoloso circolo vizioso.--br--


Non diversa è la situazione a Jiyuan: la popolazione è delusa ed irritata nonostante le misure che il governo sta adottando: quelle fabbriche che erano state accolte con entusiasmo dalla popolazione sono l’obiettivo della rabbia; Yang Anguo, dirigente della Yuguang Gold and Lead Group, la più grande società cinese del settore, ha ammesso di avere sentimenti contrastanti a riguardo: nell’ammettere certe colpe ha ricordato anche come, oramai 23 anni fa, la popolazione accolse con tamburi e gong l’arrivo della sua società in questa regione non ancora benedetta dal miracolo economico: i nuovi posti di lavoro creati ed i buoni salari avevano creato una collaborazione tra la popolazione e le fabbriche, la necessità di un lavoro aveva messo in secondo piano i potenziali danni alla salute. La società ha visto impennare il proprio bilancio fino a divenire la seconda realtà a livello mondiale, mentre nella sola Jiyuan più di 100000 persone, su un totale di circa 670000 abitanti, hanno trovato lavoro nelle società che lavorano i metalli pesanti o nelle realtà dell’indotto. Ma questo idillio è oramai finito, e come commenta disilluso Yu Bo, un ufficiale del governo cittadino, questi eventi sono una severa lezione tanto per il governo quanto per le compagnie e gli stessi cittadini, un monito affinchè in futuro non si commetta lo stesso errore di sacrificare l’ambiente e la salute pubblica in nome del profitto. Come prime misure, già il 28 agosto era stata avviata la stesura di un nuovo Piano per il controllo dell’inquinamento da metalli pesanti da parte del Ministero della protezione ambientale, con l’immediato obiettivo di chiudere tutte quelle piccole realtà che non rientrano negli standard per le emissioni: provvedimento che a Jiyuan è entrato in azione con la repentina chiusura di 32 delle 35 fabbriche incriminate. Ma come affermò in estate Jin Wei della Associazione cinese piombo, se si avesse a cuore la salute dei cittadini bisognerebbe riformare da capo tutta l’industria cinese del metallo.

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