lunedì 5 ottobre 2009

Beijingwood

Qualche settimana fa mentre camminavo nel quartiere universitario una ragazza, notando la mia prestanza fisica, mi aveva chiesto se ero interessato a girare un non meglio identificato spot commerciale. Ovviamente aveva talmente stuzzicato la mia vanità che non avevo potuto che accettare. Ieri è finalmente arrivato il giorno della gloria. Il pulmino ci aspettava al punto stabilito alle 19, direzione ignota a tutti i partecipanti. Grazie al cielo c'erano altri partecipanti, parecchi, la cui presenza ha fugato i timori di Domin e le sue previsioni nefaste su quello che mi sarebbe potuto succedere, immagini di rapimenti e trapianti di organi degni della peggior cronaca nera asiatica. Il minivan è partito alla volta di un non ben precisato luogo, quando mi sono accorto che stavamo percorrendo le periferie nord della città fino ad inoltrarci nella campagna ho avuto un brutto presentimento stile "rapimento collettivo di stranieri", un po' intrigo internazionale un po' Hostel. Ma alla fine siamo arrivati agli studios dove ci è stata offerta una lauta cena nella mensa locale, e poi veloci a provare gli abiti di scena e sottoporsi al giudizio del responsabile artistico ribattezzato Monopalla (la sua voce stridula tradiva il suo status di monorchide) e del suo staff di checche, ed ancora nessuno ci aveva avvertito riguardo al genere di spot che stavamo per girare--br--. Siamo stati fatti accomodare nella sala trucco, gli unici sfortunati selezionati per eventuali modifiche siamo stati io, un nigeriano ed un ragazzo gallese dai capelli neri e lunghi. A me volevano riprodurre delle basette seventies, al nigeriano hanno provato a mettere una parrucca afro ma poi hanno rinunciato, mentre il gallese è semplicemente stato accusato di non essersi lavato i capelli. Risultati ottenuti: la mia basetta non toccata per mancanza di rasoio, niente parrucca per il nigeriano perchè piuttosto che un rappresentante del black power sembrava un cantante funky da bettola, e ritocco ai capelli del gallese per renderli più presentabili. Ed ancora nessuno che sapeva cosa avremmo dovuto fare. Qualcosa ha cominciato a schiarirsi quando è arrivato il turno dei vestiti: un ragazzo italiano ed uno americano hanno indossato divise da ping pong retrò della squadra Usa, mentre tutti gli altri occidentali si addobbavano di brutti completi dal sapore antico, scarpe rigorosamente più piccole dei propri piedi e discutibili abbinamenti cromatici. Per le ragazze invece vestiti di sapore sovietico o di ispirazione DDR; ed in tutto questo la continua presenza di Monopalla e la sua voce stridula, i suo pantaloni del pigiama e righe blu e nere, scarpette dorate e coda di cavallo semi-mullet a coronare i movimenti di disappunto della sua testa quando non era convinto, a ragione, dei vestiti di scena; e dietro di lui la sua corte di truccatori e parrucchieri dalle voci effeminate ed i modi delicati. Così vestiti di tutto punto siamo stati fatti accomodare in camerino, riforniti di birra per aiutarci ad entrare nei personaggi, e finalmente chiamati in scena. Allora tutto è divenuto chiaro: al centro del set stava un tavolo da ping pong, la squadra statunitense, quella cinese, nonchè una decina di figuranti cinesi vestiti anni '70, divise maoiste e trecce di socialista memoria. Eravamo in procinto di ricreare l'evento chiave della diplomazia del ping pong, l'incontro tra le due squadre delle opposte potenze che diede il via ufficiale alle relazioni tra Usa e Cina nel 1971. Noi eravamo chiamati ad interpretare una schiera di giornalisti e fotografi impegnati ad assaltare gli sportivi per celebrare l'epocale evento: dotati di telecamere d'epoca, vecchie macchine fotografiche, taccuini e pennini ci siamo immersi nei nostri personaggi e provato il brivido di far parte del mondo fatato del cinema. Per inciso io ero l'addetto a portare i cavi del cameraman, interpretato dal ragazzo gallese di cui prima. Ad ogni ciak dovevamo ricreare la calca nei pressi delle gloriose squadre, la ressa per ottenere la miglior visuale e la foga per strappare un'intervista. Tutto si è concluso in meno di un'ora, parecchi ciak e molti male ai piedi, siamo tornati nel nostro camerino a mangiare gli snack che vi abbiamo trovato, scoprendo solo in seguito che non erano per noi ma per il resto della troupe. Poi purtroppo tutto è finito, proprio quando cominciavamo a prenderci gusto e vedere oramai spianata la strada per la gloria. Ed in tutto questo, nessuno aveva ancora chiaro che razza di spot poteva essere, anche se la voce più insistente era quella di una compagnia telefonica. Ora siamo tutti in attesa di vedere le nostre immagini passare su CCTV, ma mi accontenterei anche di BTV Beijing Television. E mentre il pulmino ci riportava in città, ho realizzato che le mille luci di Beijing in quel momento erano solo le stelle e le poche insegne di bettole sparse per quelle strade fuori mano.


 

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