martedì 11 maggio 2010

Il figlio conteso di Brahma

Le dighe cinesi continuano a tenere banco. Dopo le tensioni tra Cina e Vietnam per la costruzione delle dighe nell'alto corso del Mekong, ora è il turno di India e Bangladesh, che hanno levato la voce nelle settimane scorse contro il progetto cinese di sbarramento del fiume






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Yarlung Tsangpo, presso la città tibetana di Zangmu. Nomi che suonano sconosciuti ai più, almeno in cinese. Ma se prendiamo il nome indiano, la storia cambia: lo Yarlung Tsangpo altri non è che il Brahmaputra. Il Figlio di Brahma (questa la traduzione in italiano; Brahma è il dio della creazione nel mondo induista) nasce sul monte Kailash in Tibet e scorre per quasi 3000 chilometri attraverso Cina, India nord-orientale e Bangladesh, dove confluisce nel Gange nei pressi del Golfo del Bengala. Quindi un fiume per tre nazioni. La costruzione della diga dovrebbe concludersi nel 2015, e le autorità cinesi hanno ripetutamente ribadito che il progetto è puramente idroelettrico. Ossia, non ha finalità di controllo delle acque; che vorrebbe poi dire ricatto quando si parla di un fiume che serve un bacino così ampio ed è alla base delle colture dell'area. Le stesse autorità indiane hanno affermato che il progetto così come è adesso non presenta minacce, l'importante, come ha ribadito il Ministro degli Affari Esteri indiano






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Somanahalli Malliah Krishna, è che la Cina non sia intenzionata a modificare la portata del fiume. 


Quello che angoscia maggiormente gli abitanti dell'oriente del subcontinente indiano non è però tanto la costruzione di una diga, ma l'evento porta alla mente una paura generalizzata e non del tutto infondata: quella di vedere il corso di uno dei propri fiumi sacri deviato per servire la sete d'acqua cinese. Un paese che classifica l'80% del proprio territorio come a rischio di desertificazione è alla continua ricerca di fonti di approvvigionamento. Si sta facendo strada in India e Bangladesh il timore che lo Yarlung Tsangpo sarà coinvolto nell'enorme progetto cinese denominato South-to-North Water Diversion Scheme, il cui fine ultimo, tramite la realizzazione di canali e deviazioni fluviali, è il dirottamento delle acque del sud verso il nord arido e in continua emergenza idrica, in particolare dopo il deliberato omicidio del Fiume Giallo. Una parte di questo progetto riguarderebbe appunto il corso di alcuni fiumi tibetani, il cui destino sarebbe quello di dissetare la Cina nord-orientale. Lasciando a bocca asciutta centinaia di milioni di cittadini indiani e bengalesi. La autorità cinese hanno smentito categoricamente la possibilità che il riassestamento idrico cinese possa essere applicato in maniera da interessare i paesi vicini, ma a Nuova Delhi sono in pochi e credere ciecamente alle parole provenienti da Beijing. 



Nell'immagine si vede il corso del Brahmaputra prima in Tibet in direzione ovest-est (quasi 1600 chilometri), poi una netta inversione ad U subito prima del suo ingresso in territorio indiano. E' nei pressi della curva che gli indiani temono che i cinesi possano tagliare il fiume per deviarne parte delle acque verso la Cina del nord.

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