venerdì 31 dicembre 2010

2011

Buon anno nuovo!


새해 복 많이 받으세요!


新年快乐!


mercoledì 24 novembre 2010

Paura lungo il 38esimo parallelo

La Corea del Nord ha attaccato la Corea del Sud. Secondo la versione di Pyongyang, è stata una motivata reazione a colpi sparati dalla marina sudcoreana durante un'esercitazione di rito che si svolgeva nelle acque in prossimità del 38esimo parallelo, la linea che divide le due Coree. Colpi che sarebbero stati esplosi in direzione nord, ossia verso le acque ed i territori nordcoreani. Tesi confutata da Seoul, che parla invece di un attacco vero e proprio. Centinaia di colpi di artiglieria hanno colpito l'isola di Yeonpyong, nel mar Giallo, ad ovest dalla penisola coreana. A circa 80 chilometri dall'aeroporto di Incheon, e pochi di più dalla capitale Seoul. Per ora le vittime sono 4, due militari e due civili, mentre la popolazione dell'isola, circa 1500 persone, si è riversata prima nei rifugi e poi ha cominciato a lasciare le proprie case. La gente ha paura. Le armi nucleari di Pyongyang fanno paura. La situazione confusa nella leadership nordcoreana fa paura, ma allo stesso tempo questa confusione spiega in parte l'attacco, ed allo stesso tempo indebolisce l'ipotesi di una guerra.


A Pyongyang è in corso la successione al potere, che passerà dalle mani di Kim Jong-il a quelle del figlio. Che ha 28 anni, e nessuna esperienza di governo, nè tantomeno il carisma necessario. Dopo la famiglia Kim, e forse prima del Partito dei Lavoratori, stanno i generali nordcoreani. Non è escluso che anche tra loro stiano lottando per portare l'erede da una parte piuttosto che dall'altra. Quindi l'attacco potrebbe sembrare l'ennesima prova di forza per dimostrare che l'esercito è pronto, vigile e preparato. E che decide. Non è un caso che sia avvenuto proprio nei giorni in cui è a Beijing l'inviato statunitense per la questione coreana, Stephen Bosworth, arrivato in Asia proprio per riannodare i fili dei dialoghi sul nucleare nordcoreano. Un segnale anche a lui, dunque. Ma un segnale di cosa? Di forza bruta? Di potere? Di unità? Forse tutto, forse nulla di tutto questo. Non è facile capire. Forse una vendetta perchè Seoul nei giorni scorsi si è rifiutata di riaprire i flussi turistici con la Corea del Nord, attività che aiutava l'economia di Pyongyang? Peccato che in cambio abbia ottenuto che la Corea del Sud bloccasse immediatamente gli aiuti economici che aveva previsto per alcune zone alluvionate del Nord.


Non è da escludere nemmeno la volontà di vedere come reagirà la Cina, unico alleato della Corea del Nord: un'alleanza essenziale ma sempre più spinosa. Non è un caso che la risposta di Beijing sia stata, tra quella delle grandi potenze, la più cauta, un diplomatico "prima di giudicare dobbiamo accertare l'esatta dinamica". Sacrosanto come atteggiamento, ma forse nasconde un certo imbarazzo. O la necessità di muoversi con cautela e studiare al meglio la prossima mossa.


Non credo che Pyongyang voglia scatenare una guerra. Tempo fa lessi qualcosa riguardo alle potenziali dinamiche di una nuova guerra tra le Coree: Pyongyang ha certo la potenza di fuoco necessaria, ed un attacco su Seoul avrebbe conseguenze devastanti (l'arma atomica potrebbe essere usata). Ma la risposta immediata del Sud, degli Stati Uniti, probabilmente del Giappone, renderebbe la Corea del Nord terra bruciata in poco tempo. A che pro dunque scatenare una guerra? Per ottenere qualcosa in cambio, siano soldi o considerazione. La Corea del Nord si sente con le spalle protette: c'è la Cina a garantirne la sicurezza. Per questo Seoul può rispondere a male parole, ma difficilmente (salvo chiaramente ulteriori provocazioni, più gravi e sanguinose) potrà veramente reagire con la forza, come si augurano i falchi degli ambienti militari. Il domino che una risposta violenta provocherebbe si può solo immaginare: intervento americano, intervento cinese, intervento russo, europeo. E perchè no indiano, visto che è di questi giorni un nuovo contenzioso tra Cina ed India riguardo alla frontiera himalaiana.


Nel frattempo, resta la paura lungo il 38esimo parallelo.

venerdì 19 novembre 2010

Stesso Ponte, altra stagione

L'autunno pechinese è durato poco, l'inverno è arrivato senza troppi proclami o clamori. La ripetitivà dei gesti e dei tragitti quotidiani ha fatto si che quasi non mi accorgessi del cambiamento climatico. Complice una certa linearità solare, che mi ha presentato luminose e serene giornate in sequenza, senza nebbia o pioggia, ho realizzato solo pochi giorni fa che come conseguenza del cambio di stagione, sono cambiate anche le attività della Gang del Ponte: tralasciando che ora i membri sono impegnati a battere i denti per il freddo tanto quanto a combattere tra di loro per accaparrarsi ogni spicchio di sole che si insinua attraverso la ringhiera metallica, per alcuni dei membri più illustri il business è decisamente mutato.


Non ci sono più animali in vendita. E la cosa non stupisce: le tartarughe o i pesci rossi in questo momento starebbero immobilizzati in vasche di ghiaccio, ottimi come soprammobili eccentrici ma piuttosto inutili come animali di compagnia. A dire il vero tartarughe e pesci rossi non sono animali di compagnia, non più di compagnia di un nano da giardino, almeno. I conigli e gli scoiattoli inveci li vedremmo impegnati in massacri epici per sottrarre ai propri simili lo scalpo con cui coprirsi. Insomma, niente più animali, sostituiti da abbigliamento tecnico invernale come sciarpe, guanti, o i leggendari mutandoni di lana lunghi fino alle caviglie, vero must del pechinese nella stagione fredda. E poi, sorpresa, inedito smercio di attrezzatura ortopedica: fascie elastiche per caviglie e ginocchia, supporti per polsi e gomiti, pancere e altre amenità. Mentre guardavo estasiato e studiavo questa riconversione del business in base al naturale ciclo delle stagioni, mi sono accorto che alcune ginocchiere lasciavano intravedere, nel foro da cui solitamente sbuca la rotula per permettere il movimento naturale, un rivestimento interno di pelliccia. Non male, ho pensato, ti metti una ginocchiera e tieni al caldo tutta la zona grazie al pelo.


Poi ho avuto un flash, come nei film un serie di immagini a tutta velocità da contorni sfuocati: conigli gioiosi intenti a zompettare, scoiattoli birbanti, occasionali cagnolini col pelo appena spuntato.


Forse mi sono lasciato suggestionare, ma mi è pure sembrato che i venditori di animali, ora riciclatisi spacciatori di ginocchiere, fossere meglio pasciuti che in passato.


E quando ho sentito di striscio la signora che vende paccottiglia etnica dire che i suoi fermacapelli sono di vera tartaruga, sono stato tentato di crederle.

martedì 16 novembre 2010

Un'altra Olimpiade. Quella Asiatica.

A Guangzhou, nota anche come Canton, sono iniziati lo scorso 12 novembre i Giochi Asiatici, le Olimpiadi speciali del continente ad oriente (nostro, chiaramente) giunte alla loro sedicesima edizione. Non sorprende che un continente che ospita circa il 60% della popolaizone mondiale abbia le proprie Olimpiadi speciali, in particolare se tale continente ospita paesi dominanti o che domineranno il futuro. Non sorprende nemmeno che la Cina faccia manbassa di medaglie, ponendosi dopo alcuni giorni al primo posto nel medagliere, cosa di cui nessuno dubitava minimamente, tanto che la vera sfida sembra piuttosto quella per il secondo posto, per il quale sgomitano Corea del Sud e Giappone. Per le altre nazioni, briciole o poco più. Morale della favola: se alle Olimpiadi normali vieni frustrato dall' "occidente" che cede il passo nell'economia ma si tiene stretto lo sport, in quelle tue continentali vieni frustrato dai tuoi vicini del nord-est.



E' un'Olimpiade a tutti gli effetti, con incredibile cerimonia di inaugurazione, mascotte, rituali e crismi perfettamente rispettati. L'unica differenza con la sorella maggiore globale sta in alcune discipline, che compaiono solo in questa versione asiatica: non stupisce la presenza di sport tradizionali o comunque molto diffusi, come il Wushu (le arti marziali cinesi) o il Cricket (la vera fede sportiva del subcontinente indiano). Poi abbiamo il Kabaddi, che non riesco a capire come funzioni, ma mi sembra una mutazione asiatica di "strega comanda colore" (http://www.gz2010.cn/08/0821/19/4JT4BR9G0078007E.html), la gara della Barche Drago, la sezione "scacchi" che comprende quelli classici per noi con re e regina e altri due giochi asiatici di tessere chiamati Weiqi e Xiangqi. Ci sono poi il Golf, il Bowling, il Biliardo (tutti chiaramente non tipicamente asiatici, ma che raccontano una globalizzazione di sport a suo modo inedita) e la categoria a mio parere più bella: Dance Sport. Ossia, ballare Tango, Valzer, e molti altri stili sudamericani o classici europei. E qui si rimane stupefatti, perchè per la mia piccola esperienza gli asiatici non sono esattamente sciolti nel ballo; ed invece eccoli che ti smentiscono a passo di Chachacha od eseguendo un Tango degno della miglior Buenos Aires.

giovedì 4 novembre 2010

A passeggio a Xicheng

Quando l'inverno pechinese si affaccia al tracciato delle vecchie mura cittadine sostituite, in tempi passati di distruzioni simboliche e necessità pragmatiche, dall'attuale tangenziale nota come Secondo anello, è meglio sfruttare al meglio ogni residuo di bel tempo e di temperature vivibili. Lo scorso sabato quindi, complice un sole troppo invitante per stare in casa, ho deciso di concedermi una passeggiata vecchia maniera in qualche zona dove non ero mai stato. Tirando più o meno a caso mi sono diretto verso il Xichengqu (西城区 traduzione dozzinale: Distretto della città occidentale. Io vivo nel 东城区 Distretto della città orientale, quindi sono andato tra i nemici di un eventuale derby giocato a colpi di a dama cinese in un vicolo polveroso). Guidato più dal caso che da un serio piano di esplorazione urbana, ho percorso in direzione nord-sud l'asse viario di Xinjiekou, mentre alla mia destra scorrevano prima negozi di strumentali musicali, con l'occasionale suonatore improvvisato fuori dal negozio a dimostrare ai passanti la bontà degli strumenti in vendita all'interno; poi un'infinita serie di negozi di ferramenta, dal grande magazzino alla mini rivendita, passando per il vecchio negozio con gli scaffali in vetrina pieni di polvere e seghe. Ora so dove andare la prossima volta che il rubinetto del bagno sgocciola. Ossia dall'idraulico sotto casa.


Stanco di tubi di ghisa e tamburi, alla prima occasione ho bruscamente virato a sinistra, infilandomi casualmente in un hutong e percorrendolo per tutta la sua lunghezza in direzione ovest, avvicinandomi dunque sensibilmente all'Europa. Niente di speciale, quando sono arrivato alla fine ero quasi deluso, nessuna scena popolare, nessun incontro da ricordare, nessuna immagine iconica. Allora arrogante ho deciso di percorrere l'hutong successivo nella direzione opposta, forse l'avvicinarmi all'Europa non era stata una buona scelta. Quindi sono tornato ad oriente per un altro vicolo. Dopo un centinaio di metri da una vetrina davanti a me esce una ragazza in minigonna e canottiera per buttare via la spazzatura. Mi si accende una lampadina, e l'insegna sulla vetrina mi conferma nell'idea: parrucchiere speciale. La ragazza mi vede, mi ammicca, e quasi sussurrando mi dice “Massaggio?Massaggio?” e mima il gesto con le mani. Io sorrido tra il cortese e l'imbarazzato, vado dritto sentendo viva la delusione della ragazza per un cliente perso, e dopo pochi passi sento alla mia destra bussare. Ancora prima di girarmi so cosa vedrò: da dentro una vetrina di parrucchiere una ragazza, ben truccata e vestita da seduzione, mi fa cenno con la mano e mi invita ad entrare. Passo oltre, ma la scena si ripeterà ancora alcune volte. Questi parrucchieri “speciali” sono piuttosto normali a Beijing, ma resta comunque strano trovarli nelle zone centrali. Non se ne vedono più nelle zone battute dai turisti (quelli preferiscono andare, nel caso, nei centri massaggi veri e propri) ma appaiono ancora nei vicoli fuori mano, dove la polvere alzata dal vento che si infila nelle strette vie cala come un sipario sulla vita della pancia di Beijing. Ho passeggiato oltre, tornando verso occidente lungo l'ennesimo hutong, oltrepassando piccoli centri ricreativi dove gli anziani si trovano a giocare a domino o qualche altro gioco tradizionale cinese, e senza accorgermene sono arrivato alle spalle del Tempio della Pagoda Bianca (白塔寺 Baitasi). Splendida, la grande Pagoda Bianca che torreggia sui vicoli tutt'intorno, con le sue bandierine di preghiera buddhiste lasciate in balia del vento. Un gioiello che fa ombra alle case basse del vicinato, e sulla quale fanno oramai ombra i grattacieli di vetro della Financial Street che inizia subito a sud del Tempio. Così dopo la musica, il vizio, la preghiera ed i soldi sono potuto serenamente discendere nei meandri della metropolitana e tornare a casa soddisfatto.

sabato 9 ottobre 2010

Premio Nobel per la Pace a Liu Xiaobo

Nobel per la pace 2010 assegnato al dissidente cinese Liu Xiaobo, uno dei protagonisti del movimento studentesco del 1989 e della tragedia di Tian'anmen, da almeno 20 anni si batte per ottenere quei diritti umani essenziali, quelle libertà civili che Beijing dovrebbe oramai affiancare alle libertà economiche ed al riscoperto benessere (e se non benessere, almeno miglior livello di vita) di sempre più larghi strati della popolazione. E' in carcere dal 2008, dopo aver firmato insieme ad altri intellettuali e promotori dei diritti umani il documento Charta 08, in cui si chiedeva al governo cinese di tracciare una sorta di road map molto graduale per inserire nella società civile quelle libertà di espressione, coscienza, religione che ancora latitano.


Un'assegnazione molto significativa, bella e pericolosa. Idealista ma forse anche politica. Secondo il suo avvocato difensore, questo premio "incoreggerà sicuramente la società civile in Cina e la lotta per i diritti umani". Forse, ma di certo non tirerà fuori Liu dalla prigione, o almeno non credo. Magari verrò smentito. Mi ricorda quando nel 2008, poco prima delle Olimpiadi, tutto l'Occidente urlò e si strappò la camicia la il Tibet e per i diritti umani in Cina. In TIbet non è cambiata una virgola, ed i diritti umani in CIna sono dove erano prima. Però a quei tempi governi e cittadini del mondo si sentivano bene con loro stessi, avevano lottato per la democrazia in Cina. In compenso i dissidenti qui pagavano le conseguenze di un restringimento delle loro libertà come conseguenza proprio di battaglie finalizzate ad allargarle.



Un piccolo appunto: sembra che l'assegnazione del premio Nobel a Liu abbia causato un'improvvisa stretta della censura su internet e sui social network. Non è proprio così: Facebook, Youtube e compagnia sono bloccati da molto tempo, e sono comunque raggiungibili grazie a software appositi. Che se li conosciamo noi stranieri, li conoscono sicuramente anche i cinesi. Peccato che negli enormi internet point gli utenti non se ne preoccupino: sono troppo presi a giocare on-line o ad immaginarsi altri mondi virtuali per occuparsi di diritti umani. Ma nonostante questo qualcosa in Cina si muove, la società civile si trasforma, magari lentamente ma non è monolitica. Qualcosa è cambiato e cambia ancora, dalle associazioni per la protezione ambientale all'assistenza legale in casi controversi di abusi legali. Resta da vedere se l'assegnazione del nobelsarà uno stimolo, o più pericolosamente un ostacolo.


Infine Obama, che urla "Liberatelo!". A lui i cinesi potrebbero rispondere "E tu smobilita Guantanamo". Ma non lo faranno, non almeno ufficialmente. Tra l'altro, sono settimane che da Europa e Usa si sono levati cori di richiesta alla Cina affinchè si decida a rivalutare lo yuan, accusato di essere mantenuto artificialmente debole per poter facilitare le esportazioni. Gli Stati Uniti in particolare starebbero già decidendo di attuare dazi sulle importazioni di prodotti cinesi come contromossa all'uso politico della moneta cinese.


Quindi forse quello di Obama è stato un lapsus, in verità voleva dire "Rivalutatelo!"

venerdì 24 settembre 2010

In gita dalle parti di Shidu

Tempo di vacanze in Cina: il 22 era la Festa di Metà autunno, e la settimana prossima, il 1 Ottobre arriva la Festa della Repubblica. Bei giorni quelli di vacanza, in particolare quando stai a casa. La nostra scuola no, non ha fatto vacanza. siamo il contrario delle ambasciate: quelle stanno chiuse per tutte le vacanze, quelle del paese d'origine tanto quelle del paese in cui sono, mentre noi per bilanciare la loro oziosità staremo a casa solo venerdì Primo Ottobre. E quel giorno lo dovremmo comunque recuperare durante un weekend. China style.


Tempo di vacanze dunque, e la scuola ci ha portato in gita! Solo corpo docente e staff cinese, siamo partiti alle 8 di una domenica mattina di traffico inverecondo. Solo uscire dalla città e dalle sue infinite periferie è stato un percorso epico, con la campagna che appare inaspettata dopo l'ennesimo enorme compound e dopo un altro centro commerciale dalle insegne luminose. A metà tra sonno e chiacchiere studiavo il paesaggio quasi per nulla interessante fuori dal finestrino, chiedendomi perchè nessuno avesse ancora tirato fuori la chitarra e suonato Albachiara (in Cina non la si può suonare, o al massimo va riarrangiata con le parole dell'inno “L'oriente è rosso”. Un'alba chiara è roba da borghesi). Passato un ameno borgo la cui principale attività mi è sembrata essere il commercio di enormi pietre decorative, di tutte le forme e colori, l'autobus ha preso la strada dei monti. O meglio, i monti hanno cominciato a circondarci: non abbiamo percorso nessuna salita, era come se le alture spuntassero spontanee al nostro passaggio, con un meccanismo ben oliato. Formazioni rocciose prima rade circondate da campi e piccoli paesi brutti, poi sempre più fitte intervallate da canali, occasionali laghi e immancabili viadotti in costruzione a rovinare la potenziale immagine poetica. Laddove la strada ha cominciato a farsi più stretta e passare in mezzo a cime e gole, l'autista ha pensato di fare la sua guida più rapida, come preso da un raptus, deciso a percorrere gli ultimi chilometri al massimo della velocità, incurante della possibilità di scontri frontali e di soavi cadute in stagni non esattamente fragranti. Ma siamo arrivati sani e salvi nei pressi di uno specchio d'acqua piatto, lambito da una strada polverosa su cui facevano capolino alcuni hotel con le lenzuola stese a prendere aria sul ciglio della strada. Quindi a prendere polvere. Tutt'intorno una sorta di comprensorio turistico, vigilato da un enorme busto di Mao attorno al quale si aggiravano annoiati cavalli pronti per essere cavalcati da chi avesse voluto. Ma noi abbiamo voluto, o dovuto, provare l'ebrezza della navigazione sulle zattere di bambù. Forse il nostro team non aveva l'esperienza giusta, o forse la forza necessaria, ma dopo aver spinto le zattere per mezzo di lunghe canne di bambù per poche decine di metri abbiamo preferito goderci il panorama stando attenti a non accecarci a vicenda con i “remi” nell'ambito di complesse manovre di cambio posto. Il tempo nuvoloso non ha reso del tutto giustizia ad un panorama di alture, boschi a circondare lo specchio d'acqua.



Tornati sani e salvi a terra, sollevati dall'ansia di poter cadere nella mota che affiorava ad ogni colpo di bambù, abbiamo pranzato lungo la strada, cuocendoci i nostri spiedini e preparandoci la nostra frutta. Ad onor del vero, hanno fatto tutto le segretarie, della scuola, noi docenti eravamo troppo impegnati a difenderci dalle continue proposte di brindisi del capo supremo, che versava Tsingtao tiepida con la velocità di un maestro di kungfu. Nemmeno il tempo di digerire gli spiedini di pecora ed i wurstel appena mangiati, e siamo partiti per la seconda attività ludica della giornata, il temuto rafting. Temuto più che altro per la temperatura non esattamente calda della giornata, in quanto il sito era nella zona pianeggiante tra alcune alture, quindi altamente improbabile la presenza di salti e rapide. A meno che il percorso non si fosse snodato sottoterra, in misteriosi meandri popolati di spiriti dei boschi e dei fiumi scacciati dal progresso.


No, il percorso era decisamente in superficie, rilassante piuttosto che adrenalinico, se si esclude qualche colpo al coccige da parte di eventuali sassi affioranti. Ed insieme al canotto sull'acqua fredda sono scivolati via gli ultimi scorci della gita a Shidu. O almeno così pensavo mentre col sedere bagnato mi godevo la lieve corrente, maledicendo occasionalmente un sasso o un cinese che mi voleva schizzare.


Chiaramente mi sbagliavo, la gita è durata almeno altre tre ore, passate in autobus serrati in un inestricabile ingorgo che ci ha accolto all'ingresso della città e non ha mollato fino a quando siamo arrivati davanti a scuola. Solo dopo ho realizzato che quella per i cinesi era una domenica lavorativa, per recupero in anticipo delle vacanze in arrivo. Tutto regolare, dunque.

martedì 7 settembre 2010

La Gang del Ponte

 Tutti i giorni per andare al lavoro prendo il bus e scendo dopo qualche fermata. Allora solo un cavalcavia pedonale mi separa dall'edificio al quale sono diretto. A volte rischio di arrivare in ritardo perchè, per qualche motivo inspiegabile, sulle scale per salire mi ritrovo in coda alla fila degli anziani acciaccati, che percorrono un gradino ogni 5 minuti; e nel nervosismo di questo ingorgo umano devo anche curarmi di non scivolare su qualche sputo mucoso abbandonato da padrone incurante sui gradini, più piccolo e dunque più pericoloso della più classica buccia di banana. Poi sul ponte devo farmi strada tra gli acquirenti del piccolo centro commerciale informale, che viene allestito ogni giorno da quella che ho rinominato la Gang del Ponte. Questi intraprendenti commercianti stendono le loro mercanzie su di un lato, occupando metà dello spazio disponibile. Il resto viene impegnato da persone di ogni età e sesso che si fermano a guardare giocattoli, ninnoli di artigiano etnico, pellicole protettive per cellulari, occasionalmente vestiti. Ed animali. I commercianti sono sempre gli stessi, il che mi fa supporre l'esistenza di un inquietante racket delle postazioni sul ponte. Immagino il venditore di animali minacciare, tenendo uno scoiattolo per la coda ed agitandolo come una pelosa palla chiodata, chiunque provi a creare concorrenza. Dico il venditore di animali perchè lui ed alcuni colleghi sembrano essere i boss della situazione: hanno passato l'estate su quel ponte, sotto ombrelli che li hanno riparati sia dal sole cocente di agosto che dalle occasionali piogge estive, a mangiare cibo da scatole di polistirolo bianco e scolare birre, ingannando il tempo tra una vendita e l'altra con partite a poker o messaggi al cellulare apparentemente interminabili. Ed ogni giorno ho visto il piccolo zoo crescere: dai pesci rossi vicini al bollire in giornate da 40 gradi, alle disgraziate tartarughe che cercavano la fuga da vaschette di plastica in cui la densità di popolaizone era di molto maggiore a quella dei condomini di Hong Kong. Poi sono arrivate anguille, altri pesci, conigli bianchi oramai cotti e solo in attesa di una gettata di olive nere per essere mangiati. E gli scoiattoli, intrappolati in gabbie e intenti a correre su e giù per qui pochi centimetri quadrati, in cerca di un bosco dove rifugiarsi ma condannati ad arrampicarsi solo su quei listelli di ferro in una continua spirale di vana ricerca di spazi e nocciole. Scoiattoli marroni, neri, striati, ogni giorni mi viene voglia di comprarne uno per poi liberarlo nel parco più vicino. Ma sono convinto che il racket del ponte abbia i suoi sgherri in ogni parco della città, pronti a ricatturare quegli animali che qualcuno potrebbe voler liberare; e questo non farebbe che arricchire il loro commercio. Quindi ogni giorno passo oltre, e con un velo di tristezza mi dirigo alla discesa, sperando di non incontrare più il signore zoppo che un giorno ha reso la mia discesa più lunga dell'attraversata di un deserto.

lunedì 30 agosto 2010

Parallelismi anacronistici

Fastosi e maestosi monumenti del passato che torreggiano sia su nuove vie ben pavimentate ma anche su fondi stradali ancora sconnessi. Nuovi complessi industriali che si affiancano e cominciano a soffocare le costruzioni più vecchie, oppure ne prendono direttamente il posto. Poi la città che cede il posto alla campagna quasi senza accorgertene, ma per poco: sullo sfondo ancora nuove urbanizzazioni che fanno ombra a vicoli tagliati da strade in terra battuta. Nuovi complessi ancora in costruzione ancora disabitati, mentre sotto, al piano terra della città, la vita va avanti non sempre facile, anzi spesso nutrendosi di sotterfugi e piccola sopravvivenza quotidiana. I bambini che giocano nella polvere e nel fango ben diversi dai giovani che vanno a scuola in perfetto ordine e prendono buoni voti. Abitanti locali che ingannano i ricchi stranieri che vengono a visitare il grandioso patrimonio culturale indigeno. La campagna ferma a qualche decennio prima destinata a scomparire, anche se ancora non lo sa. I vecchi luoghi di ritrovo del popolo, le vecchie usanze che vengono a cozzare contro nuovi stili di vita e nuovi modi di essere nella città.


No, non è Beijing ai giorni nostri. E' il 1951 di Roma ripreso nel film "Guardie e Ladri", che ho fatto vedere oggi ai miei studenti. Quando nel vedere un vicolo romano polveroso con gli edifici sbrecciati e l'arte di arrangiarsi ben evidenziata, ho detto loro "Ecco un hutong di Roma". Loro hano riso, ed hanno anche fatto qualche commento spiritoso che chiaramente non ho capito. Avranno trovato divertente il paragone, e forse assurdo. Sono seriamente convinto che nessuno di loro abbia visitato un hutong pechinese, almeno non di quelli non recuperati e non restrutturati.

mercoledì 25 agosto 2010

Traffico alla cinese

In Italia ci si lamenta sempre della Salerno-Reggio Calabria come di un inferno di traffico e cantieri. Dalle mie parti, se la domenica pomeriggio impieghi più di un'ora per tornare dal Lido degli Estensi a Cento cominci a maledire chiunque ti capiti a tiro, convinto di essere al cetro di un dramma di dimensioni epocali. Bene, in Cina le autorità sono alle prese con un incolonnamento di 96 chilometri. 96 chilomentri di automobili, autobus ma soprattutto camion che avanzano alla discreta velocità di 3 chilometri al giorno. L'ingorgo è in corso da 10 giorni su una delle principali arterie che collega Beijing alla regione settentrionale della Mongolia Interna, e le autorità hanno serenamente dichiarato che saranno necessarie almeno ancora un paio di settimane per smaltire tutto. La causa? Il dirottamento del traffico da questa autostrada ad una vecchia strada minore per effettuare dei lavori di manutenzione. Risultato: un lunghissimo serpentone di mezzi in una strada che non può sopportarli, e la situazione peggiorata dai veicoli che si fermano per danni e non possono essere rimossi perchè semplicemente non c'è spazio!


Ma i cinesi hanno visto il lato positivo: si esalta la micro-economia che è immediatamente sorta lungo tutta la via crucis di camionisti ed automobilisti: i venditori della zona si sono attrezzati per rifornire gli autisti di cibo e viveri, allestendo lungo la strada punti vendita nonchè attività ricreative. E gli autisti invece si sono attrezzati in fretta per passare il tempo: stesi su coperte tra un mezzo e l'altro, improvvisano partite a carte o si scambiano sigarette. E lo faranno ancora per giorni, senza possibilità di tornare indietro o affrettare la cosa.


Dimenticavo, i nobili venditori di strada sembra abbiano già gonfiato i prezzi di acqua e viveri fondamentali di almeno 4 volte rispetto ai costi abituali. La nobile arte dell'economia e del libero mercato.

domenica 15 agosto 2010

Lutto in Cina

La Cina oggi è in lutto: celebra i morti della frana/inondazione della settimana scorsa nella contea di Zhouqu, provincia occidentale del Gansu. 1239 morti, 505 persone ancora disperse per le quali le possibilità di un lieto fine sembrano oramai remote. Una contea devastata, inghiottita dal fango che le squadre di soccorso e reparti dell'esercito hanno cominciato a ripulire. L'ultimo disastro climatico, per il momento, di questa estate che sembra maledetta. Nell'immagine presa dal China Daily, le celebrazioni nella città di Dongjie: la popolazione si è raccolta dove la frana di fango e detriti ha aperto in due il paese.




Il governo ha proclamato per oggi 15 agosto una giornata di lutto: a mezzanotte la maggior parte dei bar e locali ha spento la musica, creando una situazione irreale: abituati ai decibel costanti della notte a Sanlitun, è strano ritrovarsi senza quel sottofondo che il più delle volte non è che un fastidio. Alcuni locali hanno spento le luci fuori e finto di essere chiusi, ma dentro la musica ed i drink andavano avanti, magari solo col volume un po' più basso. Atmosfera quindi a suo modo raccolto. A suo modo, certamente. Che però non ha impedito ad un gruppo di cinesi di prendersi a sgabellate nel mezzo del vicolo dei bar, facendo volare seggiolini e bottiglie, lanciandosi anatemi e promettendo sciagure. Pochi minuti di delirio, poi tutto tornato nella norma. Uno dei ragazzi più attivi nel momento della rissa se ne stava ora seduto consolato dalla sua ragazza, con stretto tra le braccia un enorme pupazzo rosa. Mentre un'altra ragazza veniva portata via a braccio da due amici, la nuca sanguinante e la faccia pallida. Uno degli sgabelli volanti l'aveva colpita, e costretta a celebrare il lutto della sua serata.

venerdì 6 agosto 2010

L'uomo dei gelati. Multitasking, ovviamente.

L'uomo dei gelati cinesi non arriva su un furgoncino bianco scampanellando allegro per gli hutong. No, il mio uomo dei gelati sale in autobus verso le 13. Fuori ci sono una trentina di gradi, dentro forse qualcuno in più. Si siede di fianco a me. Sulla trentina, capelli lunghi raccolti in una coda che abbinata al suo pizzetto gli da un'aria molto boheme. Ma mi basta uno sguardo più attento per scoprire la sua vera natura.


Ed avere paura.


Un gelato, di quelli sottili al latte, in una mano. Nell'altra mano, un altro gelato uguale. Ed il portafoglio. Troppe cose per due mani, troppe cose per nascondere il suo culto del multitasking.


Di nuovo, penso con paura.


Perchè so che con questi cultori dell'efficienza arrivano guai. Non faccio nemmeno in tempo a pensarlo che un gelato comincia a sgocciolare, e dopo pochi secondi un pezzo se ne stacca dalla cima, come una valanga al latte, e gli precipita su di una gamba, a pochi centimetri dai miei jeans. Lo fulmino, chiarendo con gli occhi che non ho nessuna voglia di ritrovarmi la sua panna sulla gamba. In pochi coraggiosi mangiano il gelato sul bus in estate, lui addirittura vorrebbe mangiarne due. Lo guardo in faccia, non vedo nessuna seconda bocca, e quel portafoglio gli rende la presa su una delle due leccornie decisamente precaria. Ad ogni sobbalzo e scossone ho un moto di terrore, vorrei allontanarmi ma non posso. Poi vedo che si muove lui, e si posiziona esattamente di fronte a me, vicino ad un finestrino aperto. Mi sembra di vedere i suoi lineamenti orientali cambiare, preoccuparsi,e capisco.


Ha realizzato di non potercela fare, di non poter essere così multitasking come pretendeva, o come credeva. Allunga una mano con mezzo gelato fuori dal finestrino, lasciando sgocciolare la preziosa crema, magari su qualche signore in canottiera e mocassini. Poi dopo qualche secondo la tira dentro, per lappare ancora un po' di gelato, ora reso più gustoso da polvere e detriti volanti vari. Ancora qualche colpo di lingua, e poi il ragazzo prende una decisione drastica: lancia il gelato fuori dal finestrino, stoico, senza curarsi minimamente di dove vada a finire, per terra o nel cestino di una bicicletta. Forse dentro di lui pensa che avrebbe potuto comprarne uno solo, o forse si consola pensando che quei gelati, che costano la modica spesa di uno yuan (qualcosa come 10 cents), sono stati ben sacrificati per mettersi alla prova.


In fondo, un pantalone sporcato e qualche potenziale passante colpito da uno stecco appiccicoso non possono fermare il processo di automiglioramento urbano del giovane pechinese nell'anno 2010.

giovedì 29 luglio 2010

L'amara sorte dei calciatori nordcoreani

Riporto un post dal sito sulla Corea "Calmo mattino" riguardo la fine che secondo alcune fonti avrebbe fatto la squadra nordcoreana di calcio al ritorno in patria dopo la prestazione non proprio esaltante ai Mondiali sudafricani.


calmomattino.blog.tiscali.it/2010/07/28/calciatori-nordcoreani-%E2%80%9Cumiliati%E2%80%9D-pubblicamente/


La notizia è già rimbalzata sui quotidiani, le fonti sono il quotidiano sudcoreano Chosun Ilbo e Radio Free Korea. Entrambi sono di ispirazione ultra-conservatrice, le posizioni sono quelle di guerra dichiarata contro la Nord Corea. Comunque, i giocatori sarebbero stati sottoposti ad una seduta di critica pubblica durata ore, mentre per l'allenatore si parla di un trasferimento in un cantiere a svolgere la mansione di muratore. Nessuna pietà dunque per gli atleti, rei di aver disonorato la patria ed il presidente Kim davanti agli occhi del mondo. Nessuna attenuante è venuta dal fatto di essere in un girone proibitivo e di aver comunque segnato un gol al Brasile. Nessuna pietà per coloro che avevano comunque ottenuto un risultato storico.

lunedì 26 luglio 2010

Multitasking

Con il termine multitasking, riferendosi ad una persona, si intende chi è in grado di svolgere più mansioni o compiti diversi nello stesso momento. Un termine di uso quindi soprattutto lavorativo, ma non solo. Chiaro che in una società dinamica ed in continuo movimento come quella odierna cinese, il multitasking sia visto come una caratteristica imprescindibile per ogni giovane che vuole aprirsi un radioso futuro professionale. Fondamentale quindi un allenamento costante affinchè la mente sia sempre pronta a gestire diverse situazioni, a districare problemi anche molto diversi tra loro, ad ottimizzare i tempi per svolgere due mansioni nel tempo di una. Proprio ieri ho visto il risultato ultimo di questo nuovo mito umano: avevo appena attraversato un passaggio pedonale quando, per il classico scrupolo cinese di continuare a guardare in entrambe le direzioni a volte fino alla soglia dell'entrata di casa, alla mia destra ho visto giungere un giovine cinese in bicicletta a velocità sostenuta. Niente di strano, ed in fondo niente di strano, almeno qui, nel fatto che stesse scrivendo un messaggio con il telefono. Multitasking, ho pensato, e mi sono riempito di orgoglio per quel giovane figlio del dragone, impavido e perennemente dedito al miglioramento personale. Non ho avuto timore alcuno, almeno non fino a quando l'ho visto alzare la testa e realizzare, con terrore, che il suo livello di multitasking non era ancora così raffinato da permettergli quella manovra. Insomma gli si poteva leggere in faccia, in un misto di angoscia ed accettazione fatalistica, l'ammissione di essere un coglione. Ha avuto giusto il riflesso necessario a tirare il freno, manovra che avrebbe potuto evitargli il disastro, ma in quel momento preciso ha mostrato a tutti, me compreso, che il suo livello di multitasking era quello di un dilettante qualunque.


Ha tirato il freno anteriore.


Non aveva calcolato che tenere il cellulare nella mano destra l'avrebbe obbligato a frenare con l'altra, a meno di non voler sacrificare il proprio telefono. Cosa impensabile per un giovane virgulto cinese, che altrimenti poi non saprebbe più dove ascoltare la pietosa musica pop cinese.


Quindi ha sacrificato la dignità. Ha tirato il freno, e la sua ruota posteriore mi è letteralmente volata davanti agli occhi, in un movimento quasi ginnico nella sua perfezione e completezza. Nella sua parabola discendente tale ruota mi ha strisciato sull'indice della mano sinistra, e poi è andata a schiantarsi poco oltre, vicino a dove il giovane aveva appena strisciato le ginocchia, in mezzo ad un gruppetto di signore e nonne intente ad andare al supermercato. L'ultima cosa che ricordo è la sua espressione stupita, come di chi si sveglia un mattino a dopo venti anni di vita come uomo scopre che in verità è un procione. L'ammissione di un fallimento. L'ammissione di non essere ancora pronto per la società del terzo millennio

sabato 24 luglio 2010

Sabato domestico

Sabato. Mi sveglio, vado a ritirare il mio passaporto con il visto nuovo, una ragazza mi sorpassa in fila, poi dopo aver fatto le sue cose mi guarda stupita e mi dice "Anche tu eri in fila?". No, di solito vado all'ufficio passaporti a fare stalking agli impiegati che il sabato mattina sono più svolgiati del solito. Poi vado alla stazione di polizia del quartiere per rinnovare il foglio di residenza, ma calcolo clamorosamente male i tempi e la trovo chiusa. Forse per colpa del caldo, penso. Vado in banca a pagare la bolletta di internet ed il sudore sulle schiena mi si congela nella zona lombo sacrale a causa dell'aria condizionata; in banca potrebbero conservarci i quarti di bue, penso. Dopo essermi quindi assicurato il mal di schiena per le prossime settimane, torno a casa deciso a rilassarmi guardando un po' di sport. CCTV 5 dedica un mese al basket, con l'altisonante titolo di "Basket Carnival". Bello, non fosse che questo implica la trasmissione ogni giorno di una partita della nazionale cinese, naturalmente quelle in cui la nazionale cinese ha vinto. Che a dire il vero non sono poi moltissime, almeno nelle competizioni che contano. E a dire il vero, senza essere cattivi, se la nazionale cinese ha vinto vuol dire che la partita è stata con tutta probabilità per nulla interessante. Ma nel primo pomeriggio niente basket: trovo un sport che non ho mai visto, e spero di non dover mai più vedere. Due donne si affrontano all'interno di un ring, ma non c'è nè fango nè bikini minimal a rendere la cosa accattivamente: le contendenti si tengono con le mani un piede, e saltellando su una gamba sola cozzano, si spingono, oppure utilizzano la gamba che non deve toccare terra per sferrare calci all'avversaria. Il tutto rapisce la mia attenzione quasi per due minuti, poi rinuncio chiedendomi quanto abbiano pagato quelli nel pubblico per fargli fingere interesse in tale oscenità. Torno quindi alle news, a scopro che domani nelle acque sucoreane si terrà una esercitaizone congiunta della marina sudcoreana e di quella statunitense. La Corea del Nord ha prontamente minacciato reaizoni durissime se ciò dovesse venire avvenire, arrivando a paventare l'uso dell'arma nucleare contro le flotte nemiche. Una bordata così grossa che quasi non viene nemmeno presa sul serio. Ma comunque, una dichiarazione inquietante. 

venerdì 23 luglio 2010

Inondazioni, esplosioni, tifoni, caldo. E Yao Ming

A Dalian, nel nord est cinese, l'esplosione di due condotte che trasportavano petrolio da un centro di stoccaggio ad una nave ha causato una marea nera la cui dimensione, nei primi momenti minimizzata, appare ora come preoccupante sia per il mare cinese che per le acque internazionali. Nel frattempo buona parte della Cina meridionale è sotto pioggie costanti che hanno causato alluvioni e frane: il conto dei morti sale, ha già passato il migliaio. Il fiume Yangze, nella Cina centrale, è in piena (nell'immagine, cittadini della città di Wuhan osservano il passaggio della piena sotto un cielo non esattamente rassicurante) e la piena preme sulle titaniche mura della Diga delle Tre Gole; c'è preoccupazione certamente, ma gli esperti ed i responsabili minimizzano. Non si può nemmeno pensare che la Diga possa cedere: il disastro che ne seguirebbe sarebbe inenarrabile.




Nella provincia nord occidentale del Gansu un miniera allagata ha causato la morte di 13 minatori su 16 che vi lavoravano. Il sud est invece è stato investito dal tifone Chanthu, che ha già fatto due vittime. A Beijing la temperatura è schizzata in alto, come nel resto dle paese, in corrispondenza del sanfu, 三伏, il periodo più caldo dell'anno secondo i calcoli del calendario lunare (noto come calendario contadino, che sembra incredibile ma raramente sbaglia un colpo, sia l'arrivo del caldo o quello del vento gelido). Il giorno più caldo sarà il 26 luglio.


Ieri Yao Ming ha rilasciato un'intervista al China Daily, di cui si possono vedere alcuni spezzoni on-line: sembra un Yao triste, che ammette che non sarà lui il futuro della nazionale cinese. Con espressione rassegnata afferma che la carriera di un giocatore arriva prima o poi al termine, ma che finire così la sua (causa un infortunio non preventivato) sarebbe come una morte improvvisa.


Insomma, solo brutte notizie per i cinesi in questi giorni di fuoco.


 

mercoledì 21 luglio 2010

Libera il corpo. Ma green style

Qui a Beijing, anche se molto meno che altrove, ti trovi a fronteggiare l'inquinamento tante di quelle volte e sotto tante di quelle forme che quasi in automatico sei portato a sviluppare una coscienza verde, o almeno verdina. Una popolazione enorme + un certo gusto per lo spreco in parte comprensibile in chi scopre il benessere dopo aver patito la fame o quasi = un possibile disastro ecologico al giorno. Penso ai pannolini: qui ci sono decine di milioni di bambini che fanno pipì e pupù, e ben venga  l'abitudine di molti cinesi di non avvolgere i pupetti in pampers o analoghi corrispondenti cinesi. Insomma, bando all'usa e getta, e magari un ritorno al vecchio pannolino da lavare. Ma in quel caso, vorrebbe dire un maggiore uso di acqua (bene molto prezioso, e anche molto inquinato da queste parti) e detersivi, che non faranno che peggiorare la situaizone idrica.


Allora come si risolve la cosa? Per dirla elegante, culo nudo e via. Oppure un provocante "sotto il vestito niente". In modo che il pupo, nel momento del bisogno, possa liberare lo zampillo o alla bisogna depositare un carico dove capita. Poco importa se sia in una aiuola, lungo la strada, nel bel mezzo di un marciapiede. Importa ancora meno se lo zampillo è direzionato (con grande abilità della mamma, o nonna, devo ammettere) direttamente in un cestino dell'immondizia, oppure se la mira del nonno miope fa si che qualche goccia ti colpisca le scarpe, e magari porti le infradito, oppure se la tata ti cala le braghe e ti fa svuotare direttamente davanti all'ingresso del condominio, lasciando una gioiosa pozzetta che tutti saranno costretti a saltare.


In giorni come questi, lo spirito verde si scontra inesorabilmente con la voglia matta di spedire con un calcione nonnina e nipotino direttamente a Tian'an Men.

domenica 18 luglio 2010

Le buone intenzioni

Percorrevo il marciapiede nei pressi di casa mia, qualche sera fa. Il solito banchetto dove un signore in canottiera bianca vende pesciolini rossi e conigli nani neri, la solita contadina che stende un panno grigio per terra e vi dispone in ordine le sue zucche arancioni, in piccole piramidi di quattro piccole zucche tonde. Il vecchio che cuoce pannocchie gialle sul bancale sul retro della sua bicicletta: seduto sulla selle sgangherata, con un gomito appoggiato sul manubrio, fuma una isgaretta che tiene con fare studiato tra pollice ed indice, senza curarsi della cenere che occasionalmente si posa sulle pannocchie. Una signora vende limoni gialli che ha ppoggiato su di un piccolo banchetto formato da un pezzo di compensato poggiato su alcuni mattoni rossi. Io cammino tra tutti loro e qualche altra decina di cinesi, poi una signora attira la mia attenzione: cammina qualche metro davanti a me, e si cura di staccare da alberi e lampioni volantini e foglietti vari, pubblicità o proposte di servizi, che ignari hanno attaccato in precedenza. Sorrido e mi piace lo zelo con cui lei si cura del decoro pubblico solo con quel piccolo atto. Poi però noto che quei pezzi di carta che tanto solerte stacca, li butta per terra al centro del marciapiede o nelle aiuole sotto gli alberi. Rimango basito. Forse si apsetta che qualche altro cittadino dotato di senso civico passi successivamente a raccogliere da terra quelle carte. O forse è confidente che presto passeranno gli spazzini a riportare l'ordine cosmico della pulizia su quel selciato. Alla fine mi sembra una buona rappresentazione mi molte situaizoni cinesi: c'è la buona volontà, in moltissime cose. Peccato che si perda dopo il primo slancio.

mercoledì 14 luglio 2010

Stabilimento balneare a Sanya

Potrebbe sembrare un pozzo per attingere acqua impiantato da qualche associazione umanitaria. Invece è una comoda pompa a mano per farsi la doccia dopo aver fatto il bagno a Yalongwan. Quelle dietro sono la risposta cinese alle nostre cabine per cambiarsi. Il colore le integra perfettamente nel paesaggio, tanto che mi ci è voluto parecchio per individuarle. Le coltri sintetiche di cui sono formate fanno si che dentro ci siano 50 gradi, nonostante siano aperte in alto. Il che combinato con l'abitudine di qualcuno ad usarle come urinatoio (che bisogno c'è quando hai miglia di mare a pochi metri?), rende l'ambiente all'interno alquanto malefico. La loro struttura di canne di bambù legate con alghe le rende così stabili che un vento di classe superiore al "soffio" le potrebbe far volare via.


Un mistero mi è rimasto. La doccia a pompa da dove attinge l'acqua? Forse qualcuno ha intercettato le condotte idriche di qualche super resort della zona e deviato parte, per punire i super ricchi e soddisfare il desiderio di doccia del popolo!


lunedì 12 luglio 2010

Sanya

Sul lungomare di Dadonghai, una delle tre principali baie di Sanya, si susseguono lungo un vialetto di assi di legno circondato di palme hotel resort, bar e ristoranti da una parte, la spiaggia bianca ed il mare dall'altra. Poi ad un certo punto ti ritrovi davanti al busto di Deng Xiaoping, il leader cinese che diede inizio alle riforme economiche negli anni '80 che hanno portato la Cina ed essere quella che è oggi. L'isola di Hainan, la provincia più a sud della Cina, fu una delle prima zone ad essere dichiarate Zona Economica Speciale. Dove potevi dimenticare la pianificazione socialista e lanciarti nel mercato, in parole molto semplici. Sanya è la città più a sud della Cina, e questa possibilità l'ha sfruttata appieno. Clima tropicale, sole, vento, l'oceano, le onde, le palme, i gechi. I grandi hotel e resort hanno colonizzato le baie, in modo ora armonioso ora devastante: il complesso dove ho pernottato era ben inserito nel complesso, ma dalla spiaggia avevo la visione di enormi mostri di cemento senza personalità appoggiati come per magia su promontori o litorali, come se fossero stati teletrasportati li in una notte da Beijing o Shanghai. Il disripetto ambientale e la cementificazione sono disastri trasversali al mondo. Contrasti, come ovunque: i benestanti cinesi in vacanza in mezzo a moltissimi russi, tanto che quasi tutte le scritte sono opere d'arte calligrafica, in caratteri cinesi ed alfabeto cirillico, in un contesto tropicale che non è cert l'ambiente che viene in mente quando pensi a Russia e Cina. Le ragazze cinesi in spiaggia prendono il sole ma non troppo, mentre le signore del luogo, che lavorano sul litorale o vi passeggiano, sono completamente coperte: un tradizionale cappello tondo con i bordi che scendono verso il basso, la testa talvolta completamente avvolta in un foulard colorato a tinte vivacei, panaloni lunghi, scarpe, maglietta e maniche aggiunte. E guanti. La pelle bianca, globalizzazione o meno, è ancora un segno di bellezza in Cina. E disorienta vedere alla tv locale la pubblicità di prodotti sbiancanti, in un posto dove sei abituato a pensare che ci si debba abbronzare. Seduto in spiaggia di Dadonghai, col passare delle ore ho visto la marea abbassarsi lasciando allo scoperto rocce  dove gli abitanti andavano a cercare piccoli granchi, pesci, o semplicemente a spaccare le conchiglie appiccicate alle formazioni per poi gettarne in un sacchetto il mollusco che ci viveva dentro. Lontano, oltre la linea dove lo onde si infrangevano, l'acqua prima azzurra poi blu profonda, incorniciata da penisolette e promontori, punteggiata di piccole navi di pescatori, barche che portavano turisti in gita ed occasionali yatch di facoltosi. In cielo, nuvole velocissime e continui cambi di luce.


La baia di Yalongwa, alla lettera Baia del drago asiatico, è più incontaminata, o meglio i mega resort sono ben nascosti dietro a palmeti, o abbastanza lontani dalla spiaggia. Spiaggia spaziosa, con poche file di ombrelloni e lettini. Dove non è lottizzata dai resort, intraprenderti signore hanno organizzato stabilimenti balneari: lunghi gazebo dall'aspetto malfermo ma funzionali, sedie sdraio di legno, docce azionate con una pompa a mano della cui acqua preferisco ignorare l'origine e cabine per la cambio che altro non erano che pesanti coltri appoggiate su strutture qudrangolari di legno. Tra l'altro, sospetto a causa dell'odore che qualcno le usasse anche come latrina. Ma la baia, una lunga lingua di sabbia bianca, sembrava ancora pura, nonostante qualcuno avesse parcheggiato a qualche centinaia di metri da dove stavo una nave militare. Manifesti celebrativi cantavano Yalongwan come la più bella baia del mondo. Un tantino esagerato, ma comunque splendida.



 

sabato 10 luglio 2010

Di ritorno dai tropici

Fino al primo pomeriggio ero a Sanya, profondo sud della Cina. Sono tornato a Beijing in serata, al momento dell'atterraggio siamo sprofondati nel grigio. Spioviggina, e non c'è più traccia dei 40 gradi lasciati qui mercoledì prima di partire. Non male, in particolare se penso che stamattina avevo in mano una noce di cocco. Ciò che mi è rimasto, un arrossamento generale su buona parte del corpo e le immagini. Come quella sotto. Per chi se lo chiedesse, quello con la ciambella gialla non sono io. Presto chiaramente arriverà il reportage completo!


martedì 6 luglio 2010

Verso sud, verso i lidi

Il blackcab va al mare. Ebbene mi appresto a lasciare i 40 gradi che si sono impossessati di una Beijing sulla quale splende un sole quasi irreale e soffia un vento bollente che fa cuocere gli spiedini senza l'ausilio delle braci. Mi sposto a sud, per l'esattezza a Sanya, isola di Hainan, la propaggine più a sud della Cina, di fronte al Vietnam. L'isola è nota anche come "Hawaii d'oriente", il che non so se sia un buon segno o una minaccia. Si sa che i cinesi non sono poi così (o per lo meno non lo sono stati per decenni) bravi nel gestire le loro tante bellezze paesaggistiche e naturali. Non mi aspetto certo surfisti e bagnini, anche se non mi dispiacerebbe incontrare l'equivalente asiatico di Mitch Biuchennon (o come si scrive, comunque quello di Baywatch), ma almeno palme e mare azzurro lo pretendo. Da basso, una foto. Con la riserva che possa essere un mortale lavoro di fotoritocco!


lunedì 5 luglio 2010

Gente da piscina

C'erano giusto una quarantina di gradi ieri a Beijing. Temperatura da piscina, quindi. Mentre a bordo vasca venivo urtato da occasionali palloni dalle fattezze di cocomero ed improvvise zaffate di sigarette abbondantemente fumate tra un tuffo ed un morso ad uno spiedino. Ho quindi identificato alcuni gruppi umani ben definiti, oltre ai padri di famiglia ben pasciuti con il costumino aderente.


- I giovani duri (di ceto medio basso): generalmente smilzi, tatuati, quasi tutti rasati, hanno abbronzature come chi lavora in strada senza maglietta, sembrano appartenere ad una sorta di gang o cosa simile. Si muovono assieme, si fanno scherzi da adolescenti, si prendono in giro in un approccio cameratesco. Alcuni indossano collani con grani di legno o dorati. Non hanno particolari cool, e le loro ragazze indossano costumi estremamente cinesi (colori sgargianti e poche concessioni sexy), hanno acconciature popolari e trucco standard.


- I giovani duri (di ceto superiore): palestrati, tatuati, abbronzature ben curate stile solarium o esposizione regolare al sole, portano occhiali da sole firmati e costumi alla moda. Non si spingono ed hanno un modo di scherzare più affettato, vorrebbero essere molto cool. Le loro ragazze sono fashion victims anche in piscina: costumi di marca, accessori ben studiati, enormi cellulari sempre aperti, trucco sempre pronto ogni volta che uno schizzo accidentalmente le colpisce.


- I giovani in odor di omosessualità: hanno fisici secchi, muscoli scolpiti, costumini attillati su gambe perfettamente abbronzate, stanno in piedi tutto il tempo quasi in cerchio a prendere il sole e commentarsi a vicenda la tonalità degli addominali inferiori. A volte si accarezzano.


- La ragazze occidentali in topless: come da descrizione, non abbandonano il topless nemmeno in una piscina pubblica cinese, coprendosi il seno con le mani. Tutto molto sensato. Chiaramente, attirano gli sguardi, ma a dire il vero neanche troppi. Sempre ad onor del vero, erano solo 3. Ma si notavano, e qualcuno forse le aveva già notate in un night club russo.


- Quelli con il torace villoso: erano due. Il sottoscritto ed un cinese che, fenomeno strano, aveva i peli sul petto ma anche, e forse di più, sulla schiena. Molti di più, diciamo centinaia, quelli che ci guardavano, piacevolmente stupiti o spiacevolmente colpiti.

venerdì 2 luglio 2010

Grandi progetti VS piccoli problemi

Il governo cinese ha lanciato un ambizioso progetto (si stimano 44 miliardi di dollari di investimenti, pubblici e privati) che riguarderà inizialmente 11 grandi città: il fine è realizzare un unico sistema che unifichi trasmisisone televisiva, telefonica ed internet. Ossia un unico massiccio cavo (ma l'idea finale sarebbe un sistema wireless) per combinare i tre sistemi. I lavori inizieranno nel 2012 e si prevede che si potrà godere dei frutti nel 2015.


Ma nel 2010, qualcuno potrebbe spiegare all'autista del bus che se fuori piove e ci sono contemporaneamente 30 gradi, spegnere l'aria condizionata ed aprire i finestrini non farà altro che creare all'interno un effetto stalla che faceva appannare gli occhiali, e costirngerà i malcapitati sul bus 117 a scambiarsi convenevoli e sudore ad ogni frenata o accelerata?

mercoledì 30 giugno 2010

2 miliardi di yuan

Ossia circa 240 milioni di euro. Questo sarebbe quello che la Cina ha guadagnato dal Mondiale di calcio sudafricano. Non solo grazie al risparmio di divise, viaggi e staff per una squadra che non sono riusciti a piazzare. La dittà produttrice di pannelli solari Yingli ha piazzato la sua pubblicità a bordo campo vicino a Coca Cola ed inviti al fair play. E questo si presume avrà un ritorno economico. I maxischermi negli stadi (quelli che hanno smascherato le sviste arbitrali, per interderci) sono made in China. Da questa cifra dovranno però togliere i mancati guadagni di eventuali viaggi in oriente del presidente Fifa Blatter, che non sembra averli graditi.


Ma la voce che rappresenta la parte più grossa è quella del merchandising e di tutte le cianfrusaglie che accompagnano tutte le grandi manifestazioni. Tutte, o quasi, ovviamente made in China. Senza escludere la tanto amata vuvuzela. Quindi sappiate, tifosi di tutto il mondo, che più soffiate in quei tubi (che qualcuno afferma non essere altro che astucci fallici di popolazioni tribali riutilizzati) più gonfiate il portafoglio di qualche imprenditore cinese!

lunedì 28 giugno 2010

Coree, dal calcio alla politica

Entrambe le Coree fuori dal Mondiale: fine quindi della pax calcistica. Nell'incontro tra il presidente cinese Hu e quello coreano Lee (nella foto rispettivamente a destra e a sinistra) tenutosi nell'ambito del G20 in corso in Canada, tutto è filato liscio finchè si è discusso di temi economici: aumento degli scambi commerciali, che dovrebbero toccare i 200 miliardi di dollari nel 2012, nonchè intesa su di un futuro accordo bilaterale di libero scambio. Ma quando si è cominciato a parlare di temi scottanti (ossia la questione nordcoreana) il presidente Hu ha tagliato corto: si è detto contrario ad ogni atto che metta in pericolo la pace nella penisola coreana, ma allo stesso tempo non ha voluto attaccare direttamente la Corea del Nord, rimandando tutto all'Onu ed alle sue decisioni. Dove eventualmente potrà poi porre il veto. Questo ha deluso sia Lee, che avrebbe voluto almeno un indizio di una possibile buona disposizione cinese verso la sua causa, ed anche Obama, che sabato scorso aveva chiesto che la Cina chiarisse la sua posizione a riguardo. Ma Beijing non lo fa, volutamente aggiungo io. Sotto il fumo qualcosa cova, in Corea del Nord: proprio oggi un esponente del Ministero degli Esteri ha affermato che il suo paese continuerà a migliorare il proprio deterrente nucleare. Senza però specificare come. Nel mentre, si resta in attesa di nuovi indizi sulla successione al potere a Pyongyang, di cui si parla oramai da mesi; per alcuni analisti Usa, lo stesso attacco (alla corvetta Cheonan) non sarebbe stato altro che una dimostrazione di forza di Kim Jong-il per mostrare a possibili aspiranti al trono di Nordcorea chi comanda ancora.



 

domenica 27 giugno 2010

Semi di girasole mon amour

Il Jin Ding Xuan è un noto ristorante di Beijing che non chiude mai. Un eterno 24 ore su 24 di cucina cantonese nei suoi rumorosi quattro piani. E' un punto di riferimento per mangiare dim sum, il termine cantonese per i classici "ravioli", senza svenarsi. Spesso c'è la coda per entrare, e si viene fatti accomodare su sedie di plastica rosse. Un po' come quando aspetti la pizza da asporto; ognuno ammazza il tempo come crede: manda o finge di mandare messaggi col telefono per far capire a tutti che è pieno di amici, e invece magari sta giocando a Snake, legge qualche rivista da sala d'attesa o scambia due chiachciere di cortesia. Mentre ero in fila ieri pomeriggio, ho osservato i cinesi ammazzare il tempo dell'attesa ingurgitando chili di semi di girasole essiccati, generosamente forniti dalla direzione. Sotto ai piedi delle persone in attesa si ammucchiavano bucce come in una grande sfida a chi riuscisse a consumarne di più, come una versione globale dei mucchietti di bucce di brustoline che si formavano nelle piazze italiane. Quelle persone erano al settimo cielo per la presenza dei semi: un paio di ragazze si servivano a mangiate grezze, perdendo lungo il breve tragitto di ritorno verso le proprie sedie parte del prezioso carico. Un signore seduto al mio fianco faceva una continua spola tra la sedia ed il tavolo per rifornirsi, con un tale sforzo che sulla maglietta verde, circa all'altezza del cuore, gli si era formata una prestigiosa macchia scura di sudore. O forse era la saliva colata nella foga del nutrimento di semi. Di fronte a me invece sedeva un vero maestro dell'antica arte del seme di girasole: maglietta Adidas bianca, short pure Adidas fin sotto al ginocchio, elegante sandalo in pelle corredato da calzino, sembrava, con la sua gamba accavallata e la sua manciata di semi, completamente estraneo al plebeo mondo che lo circondava. Si guardava intorno con fare superiore, portando ritmicamente un seme stretto tra indice e pollice alla bocca famelica: con un abile combinazione di movimenti di labbra, denti e lingua, frutto chiaramente di una pratica sviluppata in uffici pubblici e treni cinesi, in pochi decimi riusciva a rompere il guscio, estrarre il seme, ingoiarlo e sputare l'involucro poco oltre la punta del suo alluce. Ipnotico il suo incedere, la sua grazia interrotta solo da accosionali bucce che gli rimanevano appiccicate, complice un filo di saliva, al labbro inferiore o al mento. Ma sempre senza compromettere la sua estasi da seme di girasole. L'ho osservato rapito, salvo poi rendermi conto che il rumore incessante di aprimento gusti e masticamento semi aveva sostituito quello del traffico nelle mie orecchie. Per un attimo ho anche avuto una sorta di allucinazione in cui ho visto tutti i presenti sotto forma di enormi criceti intenti a rosicchiare cereali e noci.


Poi per fortuna hanno chiamato il mio numero, e mi sono potuto consolare con la cena.


venerdì 25 giugno 2010

60 anni di guerra in Corea

Ricorre oggi il 60mo anniversario dell'inizio del conflitto coreano: entrambi le Coree lo celebrano, dai due opposti punti di vista. Il presidente sudcoreano Lee ha ringraziato nel discorso ufficiale l'Onu e tutte le nazioni che intervennero nel conflitto, prima tra tutte gli Stati Uniti (nell'immagine, un poster statunitense celebrativo del conflitto); presenti alla celebrazione diversi reduci provenienti da molti dei paesi coinvolti. Nel 1953 venne firmato un armistizio, ma non si è mai giunti ad un vero trattato di pace. Che Lee ha auspicato, ma che potrà nascere solo in una penisola coreana completamente denuclearizzata. Lee ha anche parlato di riunificazione, un argomento che non torna spesso nelle sue parole, affermando che l'obiettivo del momento "non è un nuovo conflitto, ma la riunificazione pacifica". Infine ha rinnovato la richiesta alle autorità nordcoreane di scusarsi ed assumersi le proprie responsabilità per l'affondamento della nave Cheonan.



A Pyongyang invece la celebrazione è stata affidata ad un comunicato ufficiale congiunto tra il Comitato Centrale del Fronte Democratico per la Riunificazione della Corea, il Comitato Nazionale per la Pacificazione e la sezione nord del Comitato Speciale per il Riconoscimento dei Crimini di Guerra dei GI (il titolo del manifesto nordcoreano è proprio "Non dimenticate i lupi imperialisti statunitensi). Il documento ribadisce l'attacco a tutto campo contro le forze di invasione sudcoreane e statunitensi che il 25 giugno del 1960 invasero la Corea del Nord per stroncare sul nascere la repubblica socialista. Nessun accenno all'aiuto sovietico, niente neppure per i "volontari" cinesi che morirono a migliaia per aiutare il vicino strategico. Solo riferimenti a imperialisti assetati di sangue e fanatici, ed una decisa chiamata alle armi per tutti coloro che hanno "sangue e spirito" a difendere la patria da una possibile nuova guerra e, esattamente come si vorrebbe al sud, lottare per la riunificazione del paese.



Anche la Cina ricorda i suoi volontari in quella che qui viene chiamata "Guerra di resistenza all'invasione americana e di aiuto alla Corea". La versione odierna infatti, oramai dimentica di cose fosse la guerra fredda e la divisione del mondo in sfere di influenza, e la stessa divisione del mondo socialista che già nel 1950 covava sotto le ceneri, giustifica l'intervento cinese come un semplice atto di riconoscimento verso quei coreani che avevano aiutato le truppe comuniste cinesi durante la guerra civile contro il Partito Nazionalista (1946-1949).


 

mercoledì 23 giugno 2010

Indice di sviluppo umano: la porta girevole

Sono anni che ci viene raccontato che la Cina sarà la protagonista di questo secolo, che si ergerà a ruolo di super-potenza, che comincerà a dettare legge a livello planetario. A supporto di queste considerazioni, la crescita economica, i numeri enormi, i grandi eventi come Olimpiadi ed Expo. Questo spaventa ed intriga. Leggiamo le statistiche, i numeri, guardiamo alla popolazione ed al Pil, e già ci vediamo dominati dai cinesi. Ma se guardiamo da più vicino, ci sono particolari che lasciano immaginare che il momento critico è ancora lontano. Si vede nelle piccole cose quotidiane. Su suggerimento di un'amica che da anni vive qui, ho analizzato l'approccio del cinese medio a quel ritrovato della tecnica che corrisponde al nome di "porta girevole". Il cinese medio ha uno strano rapporto con questo tipo di ingresso. Sappiamo che spesso fanno le cose diversamente da noi, ma da qui al tentare di imboccare una porta girevole nel senso inverso a quello in cui gira c'è una bella differenza. Sappiamo anche che i cinesi sono tanti, e spesso i centri urbani sono super affollati a discapito di enormi porzione di territorio del paese quasi disabitati: ma tentare di entrare in dieci in un uscio pensato per 2, massimo 3 persone è quantomeno discutibile. Conosciamo bene la velocità con cui la Cina si è, e si sta ancora, sviluppando, nonchè la celerità nel lavoro: ma trovarsi a spingere il vetro della porta girevole, di quelle che girano da sole intendo, solo per guadagnare un mezzo secondo di tempo mi sembra eccessivo. non considerando il fatto che così si lasciano ampia ditate sul suddetto vetro, mi chiedo quale convenienza ci sia nel rischiare di infilare le dita in qualche fessura per guadagnare alcuni decimi. Forse che quel risparmio di tempo, quell'entrare più in fretta in un luogo con aria condizionata (in estate) o riscaldamento (in inverno) valga il rischio di una vita spesa senza un dito? Dovrei quindi dare la colpa allo spietato clima che avvinghia le metropoli cinesi, o piuttosto puntare l'indice sull'esasperazione dei tempi che si è venuta a creare in questa società così affamata di sviluppo e ricerca di benessere? Qui, dove non sembra ancora recuperata la pietà per chi rimane indietro, anzi si tende a guardare di cattivo occhio chi non si è arricchito o almeno si sta arrabattando per farlo, la foga e la noncuranza con cui i cittadini affrontano le porte girevoli diviene un indice di sviluppo informale che dovrebbe dunque affiancare il Pil, l'età media, la scolarizzazione.

martedì 22 giugno 2010

La qualità dell'aria a Beijing

Ho inserito, sulla sinistra nella sezione link, l'aggiornamento quotidiano sulla qualità dell'aria di Beijing. Questo, oltre a variare la monotonia cromatica del blog, lo fa apparire anche più tecnico; infine, a seconda appunto dei giorni e della relativa qualità espressa, tranquillizzerà o farà preoccupare chi tiene alla mia salute. Il valore API (Air pollution Index) viene calcolato quotidianamente in base alle quantità presenti nell'aria di monossido di carboio, particolato, biossido di zolfo, biossido di azoto ed ozono. Da 0 a 100 l'aria è considerata buona (ottima fino a 50), fino a 200 leggermente inquinata, mentre una volta passati i 200 si entra nella fase di inquinamento serio. Oltre i 300, respirare all'aria aperta corrisponde a bersi benzina a colazione.


Tutto sommato qui tra grattacieli e viali non ce la passiamo neanche tanto male. Peggio se la passano i nordcoreani che hanno visto la loro nazionale di calcio prenderne sette, nonostante l'Ambasciata avesse offerto a tutti una lauta spaghettata. Si erano inoltre sparse voci incontrollate che 4 giocatori si fossero dati alla macchia, possibilmente per chiedere asilo politico. La Fifa ha smentito, solo un errore nelle registrazioni. Ma chiaramente, quei calciatori sono in Sud Africa solo per scappare dal Caro Leader Kim Jong-il.


 

lunedì 21 giugno 2010

Mondiali di calcio in Asia

Ho visto Italia-Nuova Zelanda in un bar a Beijing, con in mano una birra alla spina la cui vivacità in bolle è svanita prima che l'Italia prendesse gol. Nonostante la Cina non si sia guadagnata il Mondiale, questo rimane un evento così importante e globalizzato che anche la Cina ha la febbre del calcio. L'Asia punta tutto sulle due Coree ed il Giappone. La Corea del Sud ha mostrato un buon gioco, e sembra poter passare la fase a gironi. Il Giappone pure si trova a metà classifica. Più complessa la situaizone della Corea del Nord, finita probabilmente nel peggior girone che però ha già mostrato delle sorprese, ossia la socnfitta del Portogallo. Proprio con i lusitani se la dovranno vedere oggi: il coach nordcoreano Kim Jong Hun ha dichiarato di credere ancora nel passaggio del turno. Entrambe le squadre hanno debuttato al Mondiale in inghilterra nel 1966: fu proprio il Portogallo ad eliminare ai quarti la Corea del Nord, che precedentemente aveva elminato niente meno che l'Italia. Quindi, non possiamo che attenderci una lotta all'ultimo sangue per vendicara l'onta del passato.


Intanto, il tempo a Beijing è nuvoloso, alta umidità e, così si dice in giro, pioggia sparsa in alcuni settori della città. Chissà quali, mi domando. Per il momento, fuori dalla mia finestra i condomini sono ancora asciutti.


 



 


 

domenica 20 giugno 2010

Beijing, di nuovo

Le altre volte, nella monotona schermata che illustra il percorso che l'aereo sta facendo, vedevo susseguirsi il vecchio mondo socialista europeo, poi gli Urali che lo separano dalle enormi vastità della Siberia. Ekaterimburg, Novosibirsk, un po' più in basso Tashkent. Poi una rapida virata a sud portava sopra alle steppe mongole, mai viste chiaramente, ed una volta passata Ulan Bator si entrava in Cina, si intuiva nelle fasi di atterraggio la Grande Muraglia ed in un attimo si metteva piede nella afosa Beijing estiva.


Questa volta la cartina mi ha raccontato che stavamo sorvolando Sofia, Ankara, Mosul, Baghdad, il Kuwait, Doha e poi siamo arrivati a Dubai. Almeno una piccola variazione sul tema l'ho avuta. E della seconda tratta non mi è ben chiaro il percorso, mi sono perso in un sonno scomodo tra un cinese troppo largo ed un ragazzo occidentale che mi sgomitava. Ma alla fine sono arrivato a Beijing, credo sorvolando Iraq, Iran, Pakistan, India. Dovrei controllare che rotta abbiamo percorso, ma non è poi così importante. Importante è aver ritrovato Beijing, la sua afa, un'aria inaspettatamente respirale, lo sport del salto della coda e dell'espettorazione ad alti decibel.


Quindi di nuovo in diretta dall'Asia!

giovedì 10 giugno 2010

137 secondi

 Tanto sarebbe durata la vita in orbita del razzo made in Corea KSLV-1, che sembra essere scoppiato poco più di due minuti dopo il decollo dal centro spaziale di Naro, a sud della capitale Seoul. Le autorità scientifiche coreane sono ancora impegnate a chiarire la dinamica di questo incidente. Non è fortunata l'avventura spaziale sudcoreana, caricata di grandi aspettative ma al momento ostaggio di continui problemi. Il primo lancio di un razzo completamente coreana era avvenuto nell'agosto del 2009, ma una volta in orbita il razzo non era riuscito a sganciare e posizionare in orbita un satellite per ricerche scientifiche. Ora questo secondo flop. Ma l'intento rimane: Ahn Byong-man, Ministro dell'Educazione, Scienza e Tecnologia, ha dichiarato che sono già in corso i preparativi per un terzo lancio.

lunedì 7 giugno 2010

Corea dal Sud, dalle elezioni allo spazio

Le elezioni amministrative in Corea del Sud dello scorso 2 giugno sono finte con una vittoria del partito di opposizione (DP), che ha guadagnato città e province importanti. Non Seoul, che è rimasta in mano al GNP (al potere in Corea) nella persona di Oh Se-hoon, ma dove la vittoria è stata di appena un punto percentuale. A confermare la sconfitta, le dimissioni di alti papaveri del GNP, tra cui il direttore della campagna elettorale; lo stesso Oh ha dichiarato che la tornata elettorale deve far riflettere il GNP.


Un primo riflesso sulla politica internazionale, leggasi questione intercoreana, è stato un raffreddamento dei toni bellicosi che avevano caratterizzato il periodo precedente. L'opposizione rinfaccia al presidente Lee che la sua strategia di innalzamento della tensione finalizzato al preoccupare la popolazione e spingerla a votare per gli hardliners non ha pagato in termini elettorali.


Nel frattempo, si attende per mercoledì il lancio di un razzo che porterà in orbita un satellite, il tutto costruito interamente da epserti coreani, pur la supervisione e la collaborazione di tecnici russi. Il razzo, denominato Korea Space Launch Vehicle-1 (KSLV-1), è nelle intenzioni del mondo scientifico coreano il lasciapassare per il club dei paesi esploratori del cosmo, ed allo stesso momento un innegabile impulso alla ricerca scientifica e tecnologica.


mercoledì 2 giugno 2010

2 Giugno, elezioni in Corea del Sud

Giornata di elezioni in Corea del Sud: il Grand National Party (GNP, conservatore, al potere) ed il Democratic Party (DP, all'opposizione) si affrontano per la conquista di 16 posti tra sindaci di grandi città e gfovernatori di province, più molti altri posti chiave della funzione pubblica. Di estremo interesse la sfida a Seoul: in una città che conta più di un quinto dell'intera popolazione sudcoreana, il sindaco ha un potere che va oltre quello inerente alla pura questione della municipalità. L'attuale sindaco Oh Se-hoon del GNP se la vedrà con lo sfidante del DP, Han Myung-sook.


Il presidente Lee, del GNP,l cerca in queste elezioni una conferma, una legittimazione a continuare il suo corso di riforme sia economiche che politiche. In particolare è importante per Lee una vittoria che legittimi, in questo particolare momento, il suo approccio fatto di linee dure e durissime nei confronti della Corea del Nord. Il risultato sarà anche un buon termometro per misurare come la popolazione sta recependo gli ultimi sviluppi nei rapporti con i vicini del nord: in caso di vittoria del GNP, il presidente Lee si sentirà autorizzato a proseguire sulla sua strada di dialogo ridotto al minimo e nessuna concessione. In caso di vittoria del DP, ci si potrebbe aspettare, se non un cambiamento di rotta difficilmente ipotizzabile, almeno un livellamento dei toni aspri delle ultime settimane.

lunedì 31 maggio 2010

Questione coreana: la Cina mostra le carte

La si attendeva, ed è arrivata. La proposta cinese per la questione coreana è la seguente: l'istituzione di una nuova indagine congiunta sull'affondamento della Cheonan, condotta da un team del quale facciano parte anche l'Onu, la Cina e la Corea del Nord. Così ha riferito una fonte diplomatica anonima venerdì scorso, al termine dell'incontro bilaterale tra il presidente sudcoreano Lee ed il premier cinese Wen. L'Onu ha ribadito l'impegno a trovare una via diplomatica per districare la questione, e sembra che ora, dopo i proclami belligeranti della settimana scorsa, tutti gli attori siano pronti a rimettersi al tavolo della discussione. A prova di ciò, la decisione del Ministero della Difesa sudcoreano di sospendere il progetto di distribuire volantini di propaganda in Corea del Nord: ufficialmente per cause climatiche, ma chiaramente per non aumentare la tensione in un momento particolarmente delicato.


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mercoledì 26 maggio 2010

Cheonan: la voci critiche in Corea del Sud

Dalla settimana scorsa in Corea del Sud non si può criticare su internet l'esito delle indagini sull'affondamento della Cheonan: la Korean National Police Agency è impegnata a setacciare siti, blog e bollettini di notizie on-line per assicurarsi che nessuno possa avanzare dubbi su quell'indagine che ha dichiarato la Corea del nord colpevole dell'affondamento della nave e della morte di 46 marinai. Ogni critica che viene portata all'indagine ( e sono molte) viene tacciata come falsità e tradimento da parte non solo dei politici vicini al presidente Lee ma anche dai quotidiani dell'ala conservatrice che si stanno rivelando particolarmente aggressivi nel portare avanti la nuova campagna di Corea. Nonostante lo sforzo però le idee circolano on-line, e monta il sentimento di chi non ci sta a vedersi trascinato, se non in guerra, anche solo in una situazione di tensione che accusano essere fomentata ad arte. Nella foto, i membri di una organizzazione civile femminile manifestano con cartelli che invitano ad una soluzione pacifica della questione.




Questa notizia, ossia il divieto di avanzare dubbi, ottiene immediatamente il risultato di instillare il dubbio: se l'indagine fosse inattaccabile, non ci sarebbe bisogno di metterla al sicuro dalle critiche.


Ma, come sembra e come mi è stato confermato, buona parte della società sudcoreana non crede all'affondamento della Cheonan come atto di guerra. Ma a cosa crederebbe? Tra la ipotesi più sostenute c'è quella dell'incidente meccanico/umano poi rivenduto come atto di guerra, con il duplice risultato di evitare la brutta figura (e scaricare la colpa del lutto su altri) e scaldare gli animi in vista della tornata elettorale del 2 giugno. Il presidente Lee non è esattamente amatissimo, e la vicina elezione potrebbe anche metterlo in difficoltà. Qualcuno si spinge nel ragionare ancora più avanti, accusando chiaramente il governo di aver provocato la tragedia per creare una situaizone di allarme che solo un governo forte ed intransigente nei confronti di Pyongyang può gestire.


Non è facile districarsi tra questi eventi: la Corea del Nord in genere fa rima con carestia, chiusura e dittatura, quindi ogni malefatta che le viene attribuita la si considera generalmente attendibile. Tendiamo (io per primo) a distinguere in bianco e nero, dimenticando però che all'interno della stessa Corea del Sud esistono scontri e differenze ideologiche, come in tutte le altre democrazie. E che la verità spesso non è una, e spesso non è neppure veritiera.

lunedì 24 maggio 2010

La questione della Cheonan. Da un'altra angolazione

Sulle pagine del sito dell'agenzia stampa nordcoreana Kcna (www.kcna.co.jp) si può leggere la versione nordcoreana dei fatti della nave affondata Cheonan. Riassumendo, nell'inconfondibile stile della retorica di sovietica memoria, Pyongyang rimanda al mittente tutte le accuse, affermando che questa non è che l'ennesima macchinazione finalizzata a trovare un pretesto per dichiarare guerra alla Corea del Nord, ordita dai vicini del Sud, in particolare dal suo governo reazionario manipolato dagli Stati Uniti e dal Giappone (se la stessa cosa avvenisse in Europa, sarebbero Stati Uniti e Regno Unito). Il governo sudocreano, accusato di essere composto da traditori della patria, viene accusato e messo in guardia: il popolo e l'esercito nordcoreano non li perdoneranno mai per la loro viltà.




(nell'immagine, il luogo dove è avvenuto l'affondamento della Cheonan, in prossimità del confine marittimo tra i duo paesi)


Gli autori hanno l'accortezza di non accusare mai il popolo sudcoreano, ma solo i suoi governanti ed i suoi mandanti occulti. Naturale che sia così: ufficialmente la Corea del Nord persegue ancora il sogno della riunificazione, o almeno mette tale parola in tutti i discorsi ufficiali e patriottici; quindi al popolo sudcoreano bisogna riunirsi, spazzandone via la cricca reazionaria al potere.


Ma fermiamoci un attimo a pensare: e se avessero ragione loro? Se l'affondamento della nave Cheonan, i suoi morti, i suoi lutti, non fossero altro che una enorme macchinazione per raggiungere altri obiettivi? Per oggi quindi provo a stare dalla loro parte. Mi ha ispirato la lettura di un blog in cui l'autore senza dubbio alcuno imputava l'affondamento ad una classica (termine suo) macchinazione dello zio Sam per giustificare un attacco ad un paese ostile, in questo caso la Corea del Nord. Ma a che pro? Al fine di attaccare indirettamente la Cina, unico alleato di Pyongyang degno di considerazione. Quindi di nuovo l'oramai noto scontro tra potenze, questa volta combattuto per procura in Corea del Nord. Ma siamo sicuri che la Cina sarebbe così pronta a salvare il regime nordcoreano? Mentre per Kcna la finalità è semplicemente l'annientamento del governo della famiglia Kim, colpevole di voler costruire un'alternativa all'egemonia degli Usa e di cercare con forza una riunificazione nazionale impedita da forze esterne. La malafede del governo sudcoreano sarebbe provata dal fatto di non voler accettare il team di investigatori che Pyongyang vorrebbe inviare a svolgere le proprie indagini sull'affondamento della Cheonan.


Mentre continua il tour della Clinton che potrebbe dare indicazioni sul futuro, in Corea del Sud ci si prepara per le elezioni a livello locale del 2 giugno: impossibile che la questione della Cheonan non abbia ripercussioni sulla tornata elettorale. Probabilmente lo pensava già il presidente Lee quando ha deciso di rendere ufficiale l'accusa alla Corea del Nord per l'attacco alla nave: arrivare il più vicino possibile alla data delle elezioni per scaldari i cuori, senza però nel frattempo impantanarsi in uno stato se non di guerra vera di mobilitazione che non avrebbe certo fatto bene alla sua immagine.

sabato 22 maggio 2010

Contro-indagine nordcoreana

Il vice presidente della Commissione Nazionale per la Difesa nordcoreana Kim Yong Chun ha invitato le autorità sudcoreane ad accettare il gruppo investigativo che Pyongyang vuole inviare ad investigare riguardo all'affondamento della corvetta Cheonan. Il governo di Kim Jong-il non accetta la pesante accusa, anzi la rilancia al mittente ed in alcune occasioni ha avanzato l'idea che l'affondamento possa essere una messa in scena delle autorità sudcoreane, finalizzata a fomentare lo scontro con i vicini del nord.



Si attende intanto l'esito del viaggio di Hillary Clinton in Asia orientale: in Giappone ha già incontrato a Tokyo il Ministro degli Esteri Katsuya Okada (nella foto), poi sarà in Cina e concluderà l'itinerario proprio in Corea, a Seoul. Chiaramente sarà la situazione nella penisola coreana a tenere banco nelle discussioni, e probabilmente non è un caso che l'indagine di Seoul che ha accusato Pyongyang si sia conclusa propria questa settimana, in concomitanza con l'inizio del viaggio. Il Giappone viene spesso minacciato dalla Corea del Nord, le cui autorità non hanno mai fatto mistero del fatto che l'obiettivo militare ultimo sia avere vettori nucleari in grado di colpire il paese del Sol Levante. Seoul negli ultimi anni si è mostrata più intransigente; la posizione della Cina dovrà necessariamente emergere in questi giorni. E' da questa posizione che dipenderà molto di ciò che succederà nelle prossime settimane.

giovedì 20 maggio 2010

Coree: promesse di guerra, possibilità di tregua.

"Guerra aperta". Questo promette la Corea del Nord alla Corea del Sud, qualora la comunità internazionale decidesse di applicare ulteriori sanzioni a Pyongyang, dopo la presentazione al pubblico dei risultati dell'indagine sull'affondamento della nave sudcoreana Cheonan, le cui vittime furono 46 marinai. Secondo l'indagine, condotta da un team internazionale, non ci sono più dubbi che la nave sia stata affondata da un siluro nordcoreano, del quale sarebbe stato rinvenuto un pezzo nelle acque teatro dell'incidente. Ma se il Nord minaccia guerra, il Sud invece mostra i muscoli ma non si lascia andare a proclami belligeranti: la ripresa economica è in atto, ed in novembre Seoul ospiterà il G20, inteso come momento culminante del governo di Lee. Quindi una guerra, o una situaizone di tensione, è tutt'altro che auspicabile. Ed allo stesso tempo, il governo sudcoreano vuole forse giocare la carte della provocazione senza gesti plateali: il regime di Kim al nord non naviga in buone acque, tra crisi economica, problemi riguardo alla successione e generale disinteresse del mondo verso il disgraziato paese. Ed i governanti lo sanno che se vengono a mancare gli aiuti internazionali, tutto crolla. Seoul ha già fatto capire che non si farà ricattare. Ora rimane solo la Cina nel ruolo di alleato storico, ma un ruolo che sembra stare oramai stretto a Beijing, che anzi a volte finisce per imbarazzare i governanti cinesi: la Corea del nord è un vicino bizzoso e spesso crea tensioni, ma è comunque un fondamentale stato cuscinetto per tenere le forze armate dello zio Sam a distanza di sicurezza.


In un momento in cui è lecito aspettarsi l'inaspettato, vedremo nelle prossime settimane come si muoveranno i protagonisti. Ben sapendo che è nel crepuscolo dell'impero che spesso avvengono follie e gesti inconsulti da parte di governanti oramai condannati e destinati a cedere il passo. Ma tenendo allo stesso tempo presente che sono anni che si prospetta la fine del regno comunista della famiglia Kim, che però è rimasta fino ad oggi al potere.

martedì 18 maggio 2010

L'indagine che fa tremare le Coree








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Giovedì prossimo
potrebbe essere una giornata cruciale per la penisola coreana: saranno infatti
resi noti i risultati dell'indagine sull'affondamento della nave da guerra
Cheonan, che lo scorso marzo ha provocato 46 vittime tra i marinai sudcoreani.
Fin da subito si erano fatte insistenti le voci che potesse trattarsi di un
attacco della marina nordcoreana, ma il governo di Seoul aveva tenuto basso i
toni, evitando accuratamente di accusare direttamente Pyongyang: per
scongiurare una crisi che avrebbe non solo compromesso la ripresa economica che
è in corso in Corea del Sud, ma anche trascinato i due paesi in uno scontro non
più fatto solo di proclami ed accuse bipartisan, ma possibile di veri atti di
guerra. Per una larga parte dell'opinione pubblica, per settori dell'esercito e
del mondo politico l'attacco alla Cheonan è stato appunto un atto di guerra,
una precisa dichiarazione di intenti del regime di Kim Jong-il. Le prove
sembrano oramai confermarlo, ma l'ufficialità sulla decisione arriverà appunto
solo giovedì. Ma intanto tutti si stanno muovendo. di Stato
americana Hillary Clinton sarà a Seoul la settimana prossima, come ha
confermato lo stesso presidente Obama: prima sarà a Beijing, dove secondo i
programmi discuterà anche di questo tema col il suo pari ruolo cinese, Dai
Bingguo. Lo stesso Barak Obama ha avuto oggi una conversazione telefonica col
suo collega sudcoreano Lee Myung-bak, ribadendo l'appoggio degli Usa, quale che
la decisione finale. Decisione che Seoul comunicherà immediatamente non solo
agli Usa ma anche a Cina e Russia, a conferma che un'eventuale scontro nelle
acque coreane difficilmente rimarrà delimitato ai due paesi protagonisti.

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Giovedì prossimo
potrebbe essere una giornata cruciale per la penisola coreana: saranno infatti
resi noti i risultati dell'indagine sull'affondamento della nave da guerra
Cheonan, che lo scorso marzo ha provocato 46 vittime tra i marinai sudcoreani.
Fin da subito si erano fatte insistenti le voci che potesse trattarsi di un
attacco della marina nordcoreana, ma il governo di Seoul aveva tenuto basso i
toni, evitando accuratamente di accusare direttamente Pyongyang: per
scongiurare una crisi che avrebbe non solo compromesso la ripresa economica che
è in corso in Corea del Sud, ma anche trascinato i due paesi in uno scontro non
più fatto solo di proclami ed accuse bipartisan, ma possibile di veri atti di
guerra. Per una larga parte dell'opinione pubblica, per settori dell'esercito e
del mondo politico l'attacco alla Cheonan è stato appunto un atto di guerra,
una precisa dichiarazione di intenti del regime di Kim Jong-il. Le prove
sembrano oramai confermarlo, ma l'ufficialità sulla decisione arriverà appunto
solo giovedì. Ma intanto tutti si stanno muovendo. di Stato
americana Hillary Clinton sarà a Seoul la settimana prossima, come ha
confermato lo stesso presidente Obama: prima sarà a Beijing, dove secondo i
programmi discuterà anche di questo tema col il suo pari ruolo cinese, Dai
Bingguo. Lo stesso Barak Obama ha avuto oggi una conversazione telefonica col
suo collega sudcoreano Lee Myung-bak, ribadendo l'appoggio degli Usa, quale che
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(nell'immagine, le operazioni di recupero del relitto della Cheonan, poi sottoposto ad indagini. Sarebbero emerse, tra le altre, tracce riconducibili ad un siluro che avrebbe colpito la nave)




E la Corea del Nord? Finora Pyongyang ha negato qualsiasi coinvolgimento nella tragedia. Nel contesto degli ultimi mesi, l'attacco, se confermato, sarebbe l'ultima provocazione del Nord nei confronti del Sud dopo il blocco del dialogo sul disarmo nucleare ed il pugno duro mostrato da Seoul per quanto riguarda gli aiuti economici, da cui Pyongyang dipende, ed i progetti di sviluppo congiunto tra le due Coree. Forse il governo di Kim Jong-il ha voluto alzare nuovamente la tensione nel momento in cui il mondo cominciava a perdere interesse nella questione coreana; il che è probabilmente quanto di peggio possa succedere per la Corea del Nord. Ma se dovesse emergere un preciso coinvolgimento militare, le conseguenze sono difficili da immaginare. E' difficile infatti pensare che Seoul, pur con la volontà politica e tutto il pragmatismo imposto dalla situazione, possa far passare senza conseguenze una sfida netta oltre che costosa in termini di vite.