lunedì 12 luglio 2010

Sanya

Sul lungomare di Dadonghai, una delle tre principali baie di Sanya, si susseguono lungo un vialetto di assi di legno circondato di palme hotel resort, bar e ristoranti da una parte, la spiaggia bianca ed il mare dall'altra. Poi ad un certo punto ti ritrovi davanti al busto di Deng Xiaoping, il leader cinese che diede inizio alle riforme economiche negli anni '80 che hanno portato la Cina ed essere quella che è oggi. L'isola di Hainan, la provincia più a sud della Cina, fu una delle prima zone ad essere dichiarate Zona Economica Speciale. Dove potevi dimenticare la pianificazione socialista e lanciarti nel mercato, in parole molto semplici. Sanya è la città più a sud della Cina, e questa possibilità l'ha sfruttata appieno. Clima tropicale, sole, vento, l'oceano, le onde, le palme, i gechi. I grandi hotel e resort hanno colonizzato le baie, in modo ora armonioso ora devastante: il complesso dove ho pernottato era ben inserito nel complesso, ma dalla spiaggia avevo la visione di enormi mostri di cemento senza personalità appoggiati come per magia su promontori o litorali, come se fossero stati teletrasportati li in una notte da Beijing o Shanghai. Il disripetto ambientale e la cementificazione sono disastri trasversali al mondo. Contrasti, come ovunque: i benestanti cinesi in vacanza in mezzo a moltissimi russi, tanto che quasi tutte le scritte sono opere d'arte calligrafica, in caratteri cinesi ed alfabeto cirillico, in un contesto tropicale che non è cert l'ambiente che viene in mente quando pensi a Russia e Cina. Le ragazze cinesi in spiaggia prendono il sole ma non troppo, mentre le signore del luogo, che lavorano sul litorale o vi passeggiano, sono completamente coperte: un tradizionale cappello tondo con i bordi che scendono verso il basso, la testa talvolta completamente avvolta in un foulard colorato a tinte vivacei, panaloni lunghi, scarpe, maglietta e maniche aggiunte. E guanti. La pelle bianca, globalizzazione o meno, è ancora un segno di bellezza in Cina. E disorienta vedere alla tv locale la pubblicità di prodotti sbiancanti, in un posto dove sei abituato a pensare che ci si debba abbronzare. Seduto in spiaggia di Dadonghai, col passare delle ore ho visto la marea abbassarsi lasciando allo scoperto rocce  dove gli abitanti andavano a cercare piccoli granchi, pesci, o semplicemente a spaccare le conchiglie appiccicate alle formazioni per poi gettarne in un sacchetto il mollusco che ci viveva dentro. Lontano, oltre la linea dove lo onde si infrangevano, l'acqua prima azzurra poi blu profonda, incorniciata da penisolette e promontori, punteggiata di piccole navi di pescatori, barche che portavano turisti in gita ed occasionali yatch di facoltosi. In cielo, nuvole velocissime e continui cambi di luce.


La baia di Yalongwa, alla lettera Baia del drago asiatico, è più incontaminata, o meglio i mega resort sono ben nascosti dietro a palmeti, o abbastanza lontani dalla spiaggia. Spiaggia spaziosa, con poche file di ombrelloni e lettini. Dove non è lottizzata dai resort, intraprenderti signore hanno organizzato stabilimenti balneari: lunghi gazebo dall'aspetto malfermo ma funzionali, sedie sdraio di legno, docce azionate con una pompa a mano della cui acqua preferisco ignorare l'origine e cabine per la cambio che altro non erano che pesanti coltri appoggiate su strutture qudrangolari di legno. Tra l'altro, sospetto a causa dell'odore che qualcno le usasse anche come latrina. Ma la baia, una lunga lingua di sabbia bianca, sembrava ancora pura, nonostante qualcuno avesse parcheggiato a qualche centinaia di metri da dove stavo una nave militare. Manifesti celebrativi cantavano Yalongwan come la più bella baia del mondo. Un tantino esagerato, ma comunque splendida.



 

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