Ferragosto a Beijing: con alcuni cari amici in visita in queste lande, celebrato a mezzogiorno con pasta all’olio e parmigiano, poi passeggiando tra i grattacieli del Central Business District, col naso all’aria verso le cime dei palazzi come buoni campagnoli in gita nella grande metropoli, a chiedersi quanto sia alto il più alto dei palazzi e chiederlo ad un vecchio che si p fermato di fianco a noi: schiacciato dal suo baschetto da cantiere, pochi denti marci pronti ad addentare mele altrettanto marce appena comprate, ci guardava incuriosito, stupito che un italiano parlasse cinese, ripetendo a se stesso e ad un’altra signora li vicino che loro invece non sanno l’italiano. E poi a mangiare l’anatra alla pechinese al ristorante Liqun, così famoso e rinomato che è ancora ospitato in una vecchia casa in un hutong, il servizio non brilla per cordialità ed il cesso è orribile, ma qui conta il cibo che fa passare tutto il resto in secondo piano; poi fuori nel vicolo con mille gradi ed un suonatore di moleste melodie su corde stonate, poi a zonzo tra bar e mendicanti, genti di tutte le razze unite dal sudore e dai brindisi, e finire all’alba a rimirare la foschia mattutina ed il caldo fuori luogo mentre il sole cominciava a sorgere. Mancavano il mare, i falò, le grigliate, l’alba nonché il tramonto in spiaggia, ma in fondo la celebrazione è stata fatta.
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