giovedì 24 settembre 2009

Seoul, una capitale tra i monti

 Di solito rifare il visto in Cina è motivo di patemi e scontri con le regole che cambiano e le complicazioni varie tipiche dei cinesi. Questa volta sono stato “costretto” ad uscire dalla Cina per farne uno nuovo, finendo più a est, per l’esattezza a Seoul; qualche centinaia di chilometri in direzione del sorgere del sole, e sono finito da un’altra parte del mondo, un’altra Asia. Non sono il primo, tra l’altro Napolitano è stato qui qualche giorno fa, quindi si è preso tutte le attenzioni che sarebbero state riservate a me. Sono arrivato all’aeroporto Incheon, da anni in cima alla classifica dei migliori hub del mondo, pulito, funzionale, silenzioso. Poi un tragitto di almeno un’ora per percorrere i settanta chilometri che lo separano dalla capitale sudcoreana a bordo di un autobus il cui autista dava il benvenuto a tutti quelli che salivano, zone industriali e poca campagna, fino all’ingresso della città vera e propria. Non ci sono stato abbastanza per poter dare giudizi sicuri, in fondo quattro giorni per affrontare una città di oltre 10 milioni di abitanti (21 se si conta l’intera municipalità), quindi mi limiterò alle cose che, da buon villico, mi hanno più impressionato. La prima è che Seoul è in montagna. O meglio, ha 8 montagne intorno e al suo interno, quindi dopo la piattezza di Beijing è stato un trauma ed allo stesso tempo un piacere camminare in salita e discesa, sconvolgendomi alla visione di grattacieli e condomini arrampicati sui versanti, con queste montagna che impediscono una visione d’insieme della città, nascondono le zone ed ingannano sulla reale dimensione. Nella parte più vecchia della città, a nord del fiume Han, le strade sono continue curve che salgono e scendono man mano che ci si avvicina al fiume. Questa conformazione significa difficoltà nel creare grandi arterie e tangenziali, quindi si è rimediato con un sistema di metropolitana incredibile, 291 stazioni per oltre 300 chilometri di linee; sono stato forse troppo tempo a Beijing e troppo digiuno di metropolitane europee, ma finalmente di nuovo una città in cui prendere la metro è comodo e non implica chilometri di cammino per arrivare ad una fermata. Le fermate principali nascondo enormi centri commerciali sotterranei. Tutto è completamente automatizzato, non esistono bigliettai ma sono distributori automatici e colonnine per ricaricare, che tra l’altro gli autoctoni usano assai poco. Come ho scoperto, in molti ovviamente hanno la tessera dei trasporti, ma in molti “strisciano” il cellulare, o un piccolo dispositivo attaccato al cellulare. Come mi è stato spiegato, il cellulare coreano (che non funziona con le sim come nel resto del mondo) è un attrezzo ancor più diabolico che nel resto del mondo: qui si striscia il cellulare per entrare in metro, nel bus, ma anche per pagare il conto o la spesa, funziona come bancomat e forse anche come purificatore per l’acqua. Io quindi rimanevo inebetito davanti a tali prodigi della tecnologia, realizzando che il seouliano non ha bisogno di portarsi dietro il portafoglio, gli basta il telefono. Tanta tecnologia però costringe lo straniero, impossibilitato ad usare il proprio telefono, ad un tuffo indietro nel tempo all’epoca dei telefoni pubblici a monete o scheda, una roba così retrò da essere già vintage, che mi ha riportato ai gloriosi giorni delle vacanze al mare del passato quando si faceva la fila ai telefoni a gettoni per chiamare casa. Qui però non c’erano file, anzi oltre a noi non ho visto nessuno usare i telefoni pubblici. Tutte le stazioni sono dotate di un armadietto con maschere antigas e altri strumenti di emergenza in caso di attacchi militari (non si dimentichi che formalmente le due Coree sono ancora in guerra, non essendo stato firmato ancora un vero armistizio, ed ogni tanto il vicino del nord minaccia di scaricare qualche testata nucleare su Seoul) ma anche torce elettriche nonché accessori più frivoli come uno specchio dotato di pettine per chi volesse mettersi a posto dopo uno stressante viaggio. Il pettine era li, o nessuno lo ruba o ne mettono ogni giorno uno nuovo. Per strada ci sono quasi esclusivamente macchine coreane, anche in questo si riscontra l’orgoglio nazionale, e in mezzo a macchine e bus sfrecciano centinaia di moto e scooter con bauli pieni dei generi più vari: sono corrieri privati che con le moto arrivano ovunque, guidano da paura e a volte invadono anche i marciapiedi ma in maniera quasi civile. Nell’ora di punta il traffico è mortale come qualsiasi città. Ma qualcosa è diverso: in quattro giorni ho sentito suonare il clacson 3 volte. Decisamente è un’altra Asia...


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