La Cina aumenterà i controlli sui
visti di residenza dei cittadini stranieri.
La notizia, diffusa ieri dall'Ansa, è presto rimbalzata su giornali e
radio. L'Ansa parla di controlli sugli stranieri e sui loro
passaporti. Non si parla ancora del motivo che possa aver scatenato
l'ennesima stretta sui visti, ma si cita un evento di cronaca: il
(presunto) stupro di una ragazza cineseda parte di un cittadino
inglese
anche se subito dopo si cita quello che
sarebbe il motivo vero, ossia quello politico e repressivo, ossia
l'avvicinarsi del Diciottesimo Congresso del Partito Comunista Cinese
atteso nel prossimo autunno. Quello che si annuncia come un Congresso
caldissimo per le forti tensioni che investono il Partito potrebbe
quindi essere il catalizzatore di stranieri intenzionati ad arrivare
in Cina per...per cosa effettivamente? Protestare contra una corrente
del PCC a favore di un'altra? Picchettare Tianan'men per sostenere la
linea neomaoista? Spiare i delegati al congresso? Reclutare crumiri
che si infiltrino nelle ruote dentate del potere cinese per poi
distruggerlo?
Vero è che il governo cinese è solito
mettere in atto queste restrizioni e controlli rafforzati in
occasione dei grandi eventi (le Olimpiadi sono l'esempio classico, ma
quello era un evento mondiale). Allo stesso tempo, mi chiedo con un
po' di provocazione, ma un governo non può esigere che i residenti
stranieri siano in regola con i documenti, senza per questo ogni
volta dover scatenare una polemica su restrizioni della libertà e
violazione dei diritti umani?
E' un argomento sensibile, ed io ero il
primo che, quando mi trovavo ad affrontare il problema del visto, lo
vedevo come una terribile rottura di scatole e maledivo le mille
regole cinesi. Ma credo che se interrogato a riguardo, un cinese
potrebbe tranquillamente rispondere elencando le mille difficoltà
che affronta per venire in Italia.
Al che l'italiano dice: ma noi in Cina
portiamo ricchezza, loro portano concorrenza sleale e povertà.
Al che, l'osservatore attento si
chiede: sicuri che sia ancora proprio così?
Riflessioni complesse a parte, quella
dei visti è un'occasione ghiotta per un po' di nostalgia. Si perchè,
a distanza di sicurezza, anche le peripezie per ottenere il visto
durante i soggiorni in Cina sembrano romantiche avventure, tentativi
avventurosi ma anche goffi di aggirare le regole che il cattivo Pcc
si divertiva ad inasprire per impedire a noi giovani virgulti
occidentali di stare in Cina più a lungo di quanto fossimo gradito.
Come turisti, si era come il pesce: dopo un mese cominciavamo a
puzzare, ma si poteva rinnovare fino a due volte tale mensilità. Da
studenti era una vittoria facile, bastava sborsare i soldi necessari
ad un'iscrizione e come magia appariva un rassicurante visto di 6
mesi, un'infinità. Leggende narrano che ci siano quarantenni che da
almeno dieci anni lavorano in Cina che di fronte al governo figurano
ancora come studenti: alla faccia dei fuoricorso italiani. L'abbiamo
fatto in tanti, anche io a mio tempo mi ero iscritto ad una
fantomatica “università di studi superiori dei giovani” o
qualcosa di simili. Lezione casualmente il sabato mattina, e
altrettanto casualmente i compagni di classe erano tutti maturi e con
lavoro. Era la classica situazione di win-win: io pagavo la retta
scolastica ed ottenevo un visto, e volendo il sabato mattina potevo
andare con gli occhi ancora semichiusi a sentire un'insegnante
parlare di festività cinesi e tradizioni locali. Loro incassavano
tali laute rette, e presumo che il governo prendesse le appropriate
tasse. Ma sull'ultima affermazione non sono pronto a giurarci.
C'erano, e da qualche parte ci saranno
ancora, le agenzie che spedivano il tuo passaporto in un'altra città
per rinnovare il tuo visto, e a volta capitava che te lo perdessero:
ho vissuto due mesi da perfetto clandestino, col passaporto disperso
a Qingdao in mano forse ad un mastro birraio, standomene alla
finestra della mia camera al sesto piano quando si spargeva la voce
che la polizia stesse girando per il quartiere alla ricerca di fuori
quota massima. Mai successo niente al sottoscritto.
Per rinnovare un visto di lavoro
un'altra volta sono finito a Wuhu, Anhui, dove mi sono spacciato come
impiegato di un'azienda italiana con la sede la, mi sono registrato
come cittadino, ho visto corrompere un funzionario. Io tutto per
avere quell'agognato foglietto di carta.
In tanti hanno approfittato del rinnovo
per un viaggio ad Hong Kong, vera mecca per chi deve mettersi a posto
con la legge. Una città del peccato dove cercare la redenzione per
il proprio passaporto, rifargli una verginità di soggiorno.
Ugualmente, soggiorni in Corea, Giappone o stati limitrofi, dove
unire l'utile al dilettevole. Sono convinto che qualcuno abbia fatto
di tali viaggi finalizzati al rinnovo un vero stile di vita: me li
vedo rifiutare da contratto l'eventuale visto annuale che un
eventuale datore di lavoro gli propone solo per la visione paurosa
della fine di questa bellissima scusa per viaggiare.
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