Da 3 giorni sembra che le due Coree si stiano scambiando convenevoli a base di colpi di artiglieria. Da mercoledì infatti le forze armate di Pyongyang starebbero sparando colpi di artiglieria in acqua la largo dell'isola sudcoreana di Yeonpyeong, vicino al combattuto confine marittimo tra i due paesi (NLL Northern Limit Line), ad ovest della penisola coreana. Solo in giornata odierna sarebbero stati sparati almeno 20 colpi; l'esercito sudcoreano aveva risposto mercoledì sparando colpi di avvertimento, ma sta ora pensando di posizionare in zona radar anti-artiglieria. La linea di divisone marittima, da sempre al centro di un contenzioso sulle acque e sulla loro appartenenza e teatro di frequenti scaramucce, venne fissata unilateralmente da Stati Uniti ed Onu alla fine della Guerra di COrea (1950-1953).
venerdì 29 gennaio 2010
Ancora acque della discordia coreane
martedì 26 gennaio 2010
Google vs Cina. E' solo commercio
Niu Jun, esperto di affari internazionali all'Università di Beijing, ha dichiarato che "la recente disputa tra Google (e per procura il governo Usa) ed il governo cinese non è che una disputa commerciale", che dunque non saranno intaccati i rapporti tra le due potenze, o, aggiungo io, i rapporti tra l'Occidente e la Cina. Possiamo quindi stare tranquilli ad Occidente, possiamo continuare a criticare finchè vogliamo che tanto il governo cinese non si arrabbierà troppo. Sanno troppo bene che nessuno, oggi come oggi, vuole mettere a rischio i propri rapporti economici con Beijing.
lunedì 25 gennaio 2010
Demolizioni meno selvagge in arrivo per la Cina
Sono state per anni scene familiari a Beijing, ed in tutte le città cinesi: famiglie che ricevevano avvisi di sfratto e pochi giorni dopo si ritrovavano le ruspe alla porta, con appena il tempo di mettere insieme le proprie cose e prepararsi al trasferimento verso il nuovo alloggio deciso dal governo. Era sufficiente vivere in una zona di interesse immobiliare o al centro di qualsiasi tipo di riqualificazione per essere ad alto rischio di ridislocamento. Pagato bene inteso, e la casa sempre sostituita, a volte anche con strutture migliori, ma comunque un gesto di violenza, non solo quella morale dello sradicamento, ma spesso anche quella veramente fisica quando i residenti non accettavano di liberare lo spazio requisito, fosse per un motivo di amore verso la propria abitazione di sempre sia per un più veniale, ma assolutamente lecito, non sufficiente conguaglio monetario. In un'intervista al China Daily Gao Fengtao, un ufficiale governativo, ha affermato che è all'esame la riforma del regolamento per la demolizione delle abitazioni urbane, ed il risultato sarà una maggiore attenzione ai diritti dei proprietari. Tra i diversi punti messi in luce, innanzitutto il divieto di usare la violenza nonchè quei metodi intimidatori come il taglio dell'acqua e della luce per obbligare gli abitanti a lasciare la casa. Sarà obbligatorio che l'avviso di sfratto venga recapitato con 30 giorni di anticipo, ed i cittadini avranno il diritto di fare causa e portare la questione davanti ai giudici. E, non meno importante, la casa non potrà essere demolita mentre un'eventuale causa è in corso, cosa che assurdamente succedeva e probabilmente succede ancora.
Questo nuovo regolamento andrà dunque ad affiancarsi al lavoro delle ong come il Beijing Cultural Heritage Protection Centre, che da anni si impegnano per la salvaguardia dei quartieri tradizionali, spesso nell'occhio di riqualificatori dalle dubbie intenzioni e non abbastanza tutelati da autorità che sono state fin troppo disponibili nei confronti dei padroni del cemento, abili a creare lavoro e far circolare soldi, ma a prezzi altissimi in quanto ad impatto urbanistico e sociale. Le ong sono da sempre impegnate a rendere edotta la popolazione sui loro diritti, la cui ignoranza spesso semplifica il lavoro degli espropriatori. Queste nuove regole saranno una buona arma in più. Se applicate, ovviamente.
(foto cortesemente offerta dal sito del China Daily)
Qualcosa sta cambiando nella legislazione che riguarda gli sfratti selvaggi e
domenica 24 gennaio 2010
Google vs Cina, un nuovo livello di scontro
Alla fine sono saltati i nervi anche ai cinesi. Se nella vicenda Google-censura fino ad ora il governo aveva tenuto un basso profilo, rimandando il tutto a questioni economiche da non mischiare a quelle politiche e limitandosi a ricordare che chi vuole operare in Cina deve rispettare le regole cinesi, il discorso di Hillary Clinton dello scorso giovedì ha portato lo scontro ad un livello superiore: la Clinton ha direttamente collegato questo episodio alla questione della libertà, ha insomma voluto circondare un vicenda che fino ad ora, seppur tra molte ombre, poteva ancora apparire solo "commerciale", con una corona di lotta per la libertà e per i diritti. E la reazione cinese non si è fatta attendere, affidata ad un editoriale del China Daily (la versione integrale la si può leggere qui http://www.chinadaily.com.cn/cndy/2010-01/23/content_9365524.htm ) ripreso subito dall'agenzia stampa nazionale Xinhua. Per Wen Guang l'investitura politica che l'amministrazione Obama ha dato al caso Google-Cina dimostra una verità inconfutabile che non si può più celare: la vera strategia americana è sfruttare internet per rinforzare la propria supremazia mondiale. L'autore rispolvera alcuni passaggi da propaganda stile guerra fredda (si considera questa vicenda come prova dell'esistenza di un nuvo imperialismo cibernetico) e rimanda al mittente tutte le accuse, comprese quelle sulla censura, chiedendo in maniera provocatoria quali siano i paesi in cui il governo non interviene e non "spia" internet ed i suoi utenti. Wen lancia poi la bordata: insinua il dubbio nell'origine degli attacchi hacker, che Google ha attribuito immediatamente ad agenti spalleggiati da Beijing, versione che non è per nulla sicura o comprovata. Ed il governo cinese ora potrebbe entrare nella partita in maniera scoperta, e "scacciare" Google direttamente, vedendo in questo una buona occasione sia politica che economica, sulla strada per la creazione di un internet nazionale cinese.
giovedì 21 gennaio 2010
Avatar in Cina: polemiche
Due giorni fa ho sentito al Tg2 la notizia che il governo cinese ha sospeso le proiezioni di Avatar per fare spazio ad un colossal su Confucio: nel servizio si accennava ad un possibile motivo censorio, ma non lo si dava per scontato. Cosa che ha invece fatto un quotidiano di Hong Kong, l'Apple Daily, che ha assicurato che l'ordine di sospensione di Avatar a favore di un film patriottico ed educativo è venuto direttamente dal Dipartimento Centrale di Propaganda del PCC. In verità il film è stato ritirato solo nella sua versione povera, quella 2D, ma è rimasto invece nelle sale attrezzate per il 3D (ma non essendo molte in Cina, equivarrebbe secondo alcuni commentatori ad un ritiro pressochè totale). La premiere di Avatar in Cina è stata il 4 gennaio, e sarebbe stato dunque "ritirato" il 19, avendo avuto circa due settimane di diffusione. Quindi se è stata un'azione di censura, non ha funzionato alla perfezione; il Dipartimento Centrale di Propaganda non è un gruppetto di amici che si ritrovano il week end a decidere chi trattare male e chi tollerare, funziona purtroppo molto bene, solitamente. Forse, se si vuole vedere la vicenda dal punto di vista politico, viene meglio concentrarsi sulla spinta ad un film su Confucio piuttosto che sul divieto ad un film -potenzialmente- pericoloso: Avatar ha avuto il suo spazio, la sua pubblicità, e se lo togli dalle sale cinesi un giorno, la sera stessa lo potrai comodamente comprare in tutti i vicoli in dvd piratati a meno di un decimo del costo di una proiezione. Mentre spingere e promuovere all'eccesso un bel filmone su Confucio, che non ho visto (e probabilmente mai vedrò) ti aiuta, oltre a fare botteghino per una produzione nazionale anche a far passare i classici valori dello Stato, del rispetto, dell'ordine.
Ho aspettato a scrivere oggi riguardo questa vicenda, perchè ho avuto modo di vedere il film e farmi un'idea. Avatar è puro spettacolo per gli occhi per tutto il suo ingombrante minutaggio, e questo sopperisce alla trama piuttosto scontata. L'intento del film, oltre al messaggio ecologista, è certamente una chiara critica all'invasione ed alla colonizzazione in generale. Sacrosanta, anche se in un contesto un filino troppo manicheo: un invasore cattivo ed interessato solo ai soldi e quasi senza sfumature (si salvano solo gli scienziati) ed un popolo invaso che è la quintessenza della pace e della cordialità come non trovi neanche nelle più idilliache visioni arcadiche. Vedendo il film però ho pensato a quanti cinesi in sala vedendo Avatar abbiano fatto un paragone con la situazione in Tibet o Xinjiang. Il cinese medio è convinto (od è stato convinto, a seconda dei punti di vista) che la politica attuata in Tibet sia giusta, ed altrettanto lo sia quella attuata in Xinjiang; e con cinese medio intendo una maggioranza schiacciante. Non credo che il cinese medio al cinema si sia sentito paragonato agli invasori spietati. Anzi, conoscendoli, è più facile che, ritornando con la mente ai fatti di oramai due secoli orsono, si sia immedesimato con gli invasi e vessati che infine hanno la loro rivincita. In fondo ancora oggi i cinese rimuginano sulle invasioni stranieri che li misero in ginocchio per tutto il 1800 e parte del 1900, e su queste vicende le autorità insistono ancora molto, sia in politica interna che in politica estera. Può essere che il Partito abbia fermato Avatar preventivamente, "ritardando" un po' per non dare l'impressione di censurare, ammettendo però così un fallimento: se la popolazione può riconoscere la tragedia tibetana in questo film, allora la propaganda e la politica cinesi hanno fallito.
martedì 19 gennaio 2010
Google vs Cina, parte 2
Ci sono stati sviluppi nella vicenda che vede contrapposti Google ed il governo cinese. Si rincorrono voci che fanno somigliare il caso ad una spy story a tutti gli effetti. Nei giorni successivi il proclama di Mountain View di non voler più filtrare le ricerche sul suo motore di ricerca come contromisura per i ripetuti attacchi hacker di cui è vittima Google ed il suo sistema di posta Gmail, era emerso come l'attacco fosse stato sferrato a Google usando il browser Explorer. Ossia il sistema di navigazione del diretto concorrente di Google, Microsoft: questo aveva fatto gongolare i fan delle congiure, che vi hanno visto una sorta di beneplacito all'attacco da parte della gang di Bill Gates, e quindi una specie di vendetta trasversale contro l'azienda che solo qualche mese addietro ha lanciato il browser Google Chrome che è andato a sgomitare proprio con Explorer. Di ieri invece la notizia che Google starebbe conducendo un'indagine interna per verificare se l'attacco sia stato favorito da una o più talpe all'interno della propria struttura. A concludere il tutto, l'annuncio, apparso sempre ieri, sul sito del Foreign Correspondents club of China, ossia l'associazione dei giornalisti stranieri che operano in Cina: in esso si afferma che alcune caselle Gmail di iscritti sarebbero state vittime di attacchi hacker, e non solo mette in guardia gli altri soci da possibili incursioni ma spiega come scoprire se sono già avvenute e come possibilmente mettersi al riparo.
Nel caos generale di questa vicenda, che ha già coinvolto Google, Microsoft, governo cinese, Casa Bianca, diritti umani, diritti aziendali, affaristi, giornalisti, sostenitori dei diritti umani e molti milioni di utenti cinesi, non ci si deve dimenticare di quello che è al momento l'unico vero vincitore, il motore di ricerca cinese Baidu, che in seguito a queste vicende ha visto crescere il suo valore in borsa del 21%. Baidu naque, ironia della sorte, proprio come una costola di Google per mano di Li Yanhong nel 2000: Mountain View aveva una quota nel capitale iniziale, che però rivendette quando nel 2006 decise di aprire il proprio sito cinese. Ma non è riuscita ad intaccare il quasi monopolio di Baidu presso gli utenti cinesi.
giovedì 14 gennaio 2010
Google vs Cina
Repubblica popolare cinese VS Google. La luna di miele sembra finita. E la situazione è molto più complessa di quello che sembra. Semplificando all'eccesso, i "capi" di Goggle avrebbero deciso di togliere i filtri censori dalla propria versione cinese. Inizialmente la si è presentata come una risposta al tentativo di hackers di violare le caselle email di alcuni militanti per i diritti umani; in seguito è emerso che l'attacco è stato sferrato anche contro grandi imprese occidentali. La direzione di Mountain View, dove ha sede Google, non ha accusato direttamente il governo cinese di essere alle spalle degli attacchi informatici, ma la reazione lo rende chiaro: dal 13 gennaio su Goggle.cn è possibile digitare e visitare tutte quelle pagine che fino al giorno prima erano censurate. Dopo anni di compromesso, esattamente dal 2006, dunque il gigante americano sembra essersi stancato, stanco di immolare sull'altare di 350 milioni di utenti cinesi il diritto alla libertà di ricerca e diffusione delle notizie. Il governo cinese per adesso ha risposto in maniera soft, affermando essenzialmente che le aziende straniere possono lavorare liberamente in Cina, ma devono rispettare le regole, ma è forte la sensazione che il dardo lanciato da Google sia pericoloso, e sembra che l'azienda statunitense possa arrivare a chiudere il proprio sito cinese (e relativi servizi, da g-mail a Googlemaps, da Google Earth a Picasa). E chiudere di conseguenza i propri uffici in Cina. Dal punto di vista "umano" e spirituale, inutile dire che sarebbe una grossa perdita per la Cina, ed allo stesso colpo un colpo potente sferrato da un colosso come Google dopo anni di sottomissione in nome degli affari: un potenziale precedente dunque, ma non credo. Meglio prendere in considerazione altre informazioni prima di gridare ad una semplice ma importante vittoria della libertà contro la censura. In fondo, per anni i dirigenti di Google non sembrano essersi fatti molti problemi a riguardo; perchè dunque dopo questo attacco, che non è di certo il primo, qualcosa è cambiato? L'attacco non ha colpito solo alcuni attivisti per i dirittti umani, ma anche alcune grosse aziende occidentali, almeno 20 (ma qualcuno dice fino a 34): tra i nomi grossi per ora sono emersi solo al stessa Google e Adobe, ma non mancherebbero giganti dei campi finanziari e farmaceutici. Questo forse per un'azienda come Google (che è un'azienda che deve fare fatturato, non un'organizzazione benefica, è bene ricordarlo) è sicuramente più grave dello spionaggio alla posta personale: un attacco, riuscito, mette in mostra le falle di un sistema informatico che dovrebbe essere invece sicuro. Dal punto di vista degli affari, la violazione delle lettere dei militanti politici è ben poco rispetto alla violazione dei segreti industriali. La perdita di fiducia in Google da questo punto di vista potrebbe far perdere guadagni, di sicuro guadagni maggiori di quelli tutto sommato miseri che produce Google China: appena 600 milioni di dollari, poco rispetto ai 22 miliardi di dollari che produce annualmente secondo JP Morgan. Insomma, in parole povere, meglio compromettere il mercato cinese (nel quale la fetta di utenza di Google è solo del 29%, in confronto al 60% circa controllato dal motore cinese Baidu, secondo dati del Wall Street Journal) piuttosto che rischiare di far emergere, tramite altri attacchi, delle falle nel sistema di sicurezza: questo causerebbe un danno maggiore. Secondo alcuni analisti dunque con la rimozione dei filtri Mountain View avrebbe semplicemente spostato l'attenzione da un problema di sicurezza del sistema ad uno di diritti umani. E' cinico, e smonta di molto l'euforia per quello che poteva sembrare un gesto ecclatante nel nome della libertà di navigazione. Lo stesso potenziale incendiario della mossa è a mio parere discutibile: certamente in Cina in questi giorni sarà possibile ottenere informazioni su Tiananmen '89, sul Tibet, sui diritti umani; cosa splendida, a prescindere dal fatto che spessissimo le informazioni che si trovano sono talmente sbilanciate e di parte anti-Cina da finire per apparire un banale contraltare alle notizie controllate del Partito Comunista Cinese. Cosa splendida dicevo, ma allo stesso tempo chi usufruirà di quelle notizie? Chi era nell'ambiente sapeva già come reperirle in precedenza, certamente con più rischi che in questo momento di transizione da una censura all'altra (perchè è inutile illudersi che la libertà di internet sia stata raggiunta). Ma tutti gli altri? Non credo che gli internauti cinesi si getteranno in massa alla ricerca di questi contenuti. Per la maggior parte degli utenti, è molto più doloroso non accedere a Facebook e Youtube che alla fruizione di notizie sui diritti umani. In Cina come qui da noi, d'altronde. NEi due paesi la notizia è stata accolta in maniera diversa: sul People Daily cinese, che riprende il China Daily, si parla di una strategia di Google per mettere sotto presisone il governo cinese, anche se non si chiarisce a che pro. Guo Ke, professore all'Università di Studi internazionali di Shanghai, ritiene che difficilmente Google lascerà la Cina ed i profitti che può fare: secondo lui, al governo cinese non farebbe invece grande differenza che Google resti o meno. Quindi Google starebbe giocando al gatto e il topo con Beijing. Forse per ottenere dal governo assicurazioni riguardo la cessazione degli attacchi hacker? Nelgi Stati Uniti invece sembra che si siano concentrati sul contenuto di libertà, tanto che è intervenuto lo stesso portavoce di Obama, Robert Gibbs, per far sapere che il presidente e l'amministrazione sono convinti sostenitori della libertà per internet". Siamo insomma ad un altro capitolo dello scontro dissimulato tra Usa e Cina?
Ma in ultima analisi, quei ragazzi cinesi che si vedono depositare fiori alla sede di Google China a Beijing, che potenziale lutto stanno celebrando? La perdita di una libertà di ricerca promessa ma mai realizzata per intero, o la perdita della visione panoramica del proprio quartiere grazie a Google earth?
lunedì 11 gennaio 2010
Usa, Yemen. E Cina.
Ci sarà una guerra nello Yemen nei prossimi mesi? Forse si, forse no. Perchè è così importante che gli Stati Uniti vadano anche nello Yemen, con già due fronti aperti e non poche altre difficoltà? E' semplicemente perchè un ragazzo nigeriano ha fallito un attentato ed ha affermato di essersi addestrato là? Probabile, ma non c'è bisogno di chiamare in causa dietrologia e teorie della cospirazione per notare alcuni altri elementi che spiegano, e forse complicano, la situazione. E la inseriscono nel quadro generale del conflitto a bassa intensità tra Usa e Cina. In Yemen si trova il porto di Aden, strategica via di ingresso al canale di Suez, quindi a tutta l'Europa. Quindi, tappa principale delle rotte commerciali tra Asia ed Europa, e perchè no anche Africa. Ma anche vitale snodo delle rotte energetiche che partono dalla penisola arabica. Controllare Aden quindi significa mettere le mani su qualcosa che scotta. Guardiamo un attimo più ad oriente, dove si trova l'altro porto-snodo delle tratte asiatiche: Malacca. Che non è cinese, ma dove i cinesi sono già avvantaggiati. Dal 2005 la Cina porta avanti al cosiddetta "Strategia del filo di perle" ("String of pearls", nell'immagine sotto) che prevede la creazione di tante basi navali, appoggi commerciali e diplomatici lungo quelle rotte che dai porti cinesi vanno alla penisola arabica e poi in Europa. Beijing ha già disposto le sue perle, grazie ad accordi economici e massicci investimenti, al largo di Cambogia, Tailandia, Bangladesh, Myanmar, Maldive, Sri Lanka e Pakistan. Gli accordi presi in Sri Lanka hanno allarmato l'India, tradizionale rivale, e l'hanno spinta ancora di più verso gli Usa; che allo stesso tempo cercano di sistemare a proprio vantaggio la situazione pakistana, e tagliare il filo delle perle cinesi che se dovesse svolgersi fino alle coste iraniane raggiungerebbe l'obiettivo prefissato: proteggere le rotte cinesi dal mar Cinese meridionale fino al Golfo Persico. Salvo l'ultimo bastione, che verrebbe dunque ad essere Aden.
Obama ha portato visita nel 2009 a Hu Jintao, e non ne era uscito particolarmente bene, anzi aveva dato l'idea di una potenza, quella statunitense, sulla via dell'arretramento in Asia. Questo potrebbe essere il modo di Obama per mandare un messaggio alla Cina. Spalleggiato dall'India che vedrebbe di buon occhio un riassestamento negli equilibrio dell'oceano Indiano.
venerdì 8 gennaio 2010
Artisti della neve
Spesso ho espresso una critica su chi parla di Cina: esiste la tendenza ad estremizzare i giudizi, quindi si finisce per pensare che la Cina o è tutta uno splendore o è tutta una vergogna. Sembra che nemmeno i cinesi stessi siano immuni da queste polarizzazioni dei commenti, anche riguardo agli eventi più piccoli ed apparentemente insignificanti. Ieri sul sito dell'agenzia di stampa cinese Xinhua (www.xinhuanet.com) era segnalata una discussione riguardo alcune foto apparse su internet nei giorni della grande nevicata a Beijing: le foto ritraggono alcuni ragazzi vestiti solo con i boxer sulla neve, in pose da babbeie; per esempio un luminare dello spasso intento a suonare la chitarra vestito solo di mutande ed occhiali da sole, ed un vero duro con la fascia pubica celata da uno skateboard. E sneakers alla moda, ovviamente. In un qualsiasi paese normale queste foto non avrebbero assolutamente dignità di pubblicazione, e quando mai l'avessero, il commento sarebbe semplicemente "Ragazzi fanno i simpatici sulla neve". In Cina invece finisci sulla homepage dell'agenzia di stampa nazionale, e, a leggere l'articolo, scateni una discusisone infuocata tra i frequentatori di internet: tra chi afferma che quello è un comportamento indecente e dunque stigmatizzabile, e chi, udite udite, apprezza l'energia creativa che sprizza dalle foto! Insomma non possono essere semplicmeente dei ragazzi che scherzano, magari ne approfittano per farsi vedere in mutande dalle loro amiche e si misurano così in un corteggiamento animalesco aggiornato al nuovo millennio ed alle temperatura invernali. No! O sono degli indecenti trasgressori, o dei creativi! Quindi il loro destino sarà o finire nella lista di pericolosi controrivoluzionari o tra le file dei già sopravvalutati artisti contemporanei cinesi. Comunque sia, due categorie che l'occidente ama a prescindere, da ogni giudizio serio, giusto per rimarcare il concetto espresso in apertura. (la foto che segue è per gentile concessione dell'agenzia Xinhua)
giovedì 7 gennaio 2010
Attivo il FTA tra Cina e paesi dell'Asean
Il 1 gennaio 2010 è entrato in vigore il Trattato di libero commercio (FTA, Free Trade Agreement) tra la Cina ed i paesi membri dell'Asean, l'Organizzazione degli Stati del sud-est asiatico. In questo modo, dopo anni di discussioni e lavori (l'idea di questo tipo di accordo era nell'aria da metà degli anni '90) si è creata questa nuova area di libero scambio economico che coinvolge quasi 2 miliardi di persone ed, oltre alla Cina, Thailandia, Vitnam, Myanmar, Cambogia, Indonesia, Malesia, Filippine, Laos, Brunei e Singapore. L'enorme nuovo mercato trans-nazionale diviene così il terzo per importanza al mondo. Nei promotori dell'accordo, questo darà una nuova spinta all'economia della zona, migliorando gli scambi, favorendo le relazioni e creando un clima più cooperativo anche dal punto di vista politico e culturale. Inoltre si prevede che migliorerà la concorrenza tra i vari attori dei diversi paesi, che dovranno dunque migliore la propria produzione per poter invadere i vicini vicini. O tagliare i costi, a seconda delle inclinazioni, e si sa chi sono le vittime principali in questo genere di sistemazioni, non certo chi questo accordo lo ha sponsorizzato e creato.
(nella foto, la cerimonia di inaugurazione del Trattato tenutasi a Nanning, Cina)
lunedì 4 gennaio 2010
La missione di Robert Park
Il quotidiano Asia Times riporta una notizia interessante: la notte della vigilia di Natale un missionario ameri-coreano è entrato in Corea del Nord per consegnare di suo pugno un messaggio di pace per il presidente Kim Jong-il. Robert Park, questo il suo nome, ha attraversato il letto ghiacciato del fiume Tumen che segna il confine tra Cina e Corea del Nord (molto più penetrabile rispetto all'ultra militarizzato confine tra le due Coree). Non si saprebbe ancora nulla del ventinovenne, che prima di partire aveva dichiarato di voler portare appunto un messaggio di pace ma anche un invito alle autorità del Nord ad aprire le frontiere e chiudere i campi di concentramento. Tutto argomenti molto sensibili dunque, di quelli che non possono che irritare le autorità comuniste di Pyongyang, nel caso avessero deciso di soprassedere all'ingresso clandestino. Ora, in attesa di sviluppi (oltre purtroppo alla scontata cattura e più o meno certo imprigionamento) ci si chiede come una vicenda apparentemente così piccola (senza nulla togliere al notevole significato del gesto) possa influenzare i prossimi eventi della penisola coreana. In un contesto "normale" nordcoreano sarebbe certo un lungo imprigionamento, salvo interventi eccezionali come quello con cui Bill CLlnton è andato a recuperare le due giornaliste statunitensi (Euna Lee e Laura Ling) che erano state arrestate e tenute prigioniere per 140 giorni nel 2009. Ma questo potrebbe non essere un momento normale: da settimane Pyongyang prova di riaprire un canale di dialogo con gli Usa, ora deve decidere se usare Robert Park come ostaggio e contropartita per qualche tristemente solito ricatto, oppure lanciare un messaggio chiaro della propria disponibilità a rimettersi al tavolo a discutere.
venerdì 1 gennaio 2010
I buoni propositi per il blog
In teoria questo post sarebbe dovuto andare ieri. Ma mi è venuto in mente solo oggi di snocciolare qualche numero. Attivato il 15 luglio dell'anno da poco concluso, il blog ha visto al pubblicazione di 85 post, con una media di 0,5 al giorno. I mesi più intensi sono stati settembre ed ottobre, mentre i più carenti novembre ed in particolare dicembre, complice la flessione dovuto al ritorno dalla Cina ed alla necessità di reinventare il blog, che non è ancora alla sua forma (sia nel senso estetico che nel senso dei contenuti) definitiva.
Al momento in cui scrivo un totale di 2488 visite (complici le abbondanti visite di oggi, dovute al titolo tattico di ieri che mi ha regalato un buon posizionamento su Goggle: se effettuate la ricerca trovate il blackcab all'11 posto, ancora in prima pagina. Quasi meglio della ricerca a tema "sagre del pene" che tanta gloria mi diede in passato). Una media che si aggira intorno alle 14.7 visite quotidiane, ma molto influenzata da quanto decido di rompere le scatole via email. Sono 112 commenti ricevuto, 1,32 a post; mi sento di poter dire almeno il 90% per nulla inerenti ai contenuti. !0 solamente i lettori registrati.
Quindi posso redigere i miei buoni propositi per il 2010: definire una linea editoriale, innanzitutto. Aumentare il numero dei lettori registrati, il che è sia diretta conseguenza del punto precedente, ma anche delle tangenti che comincerò a pagare. Infine naturalmente aumentare il numero dei contatti quotidiani. Ed un pensierino anche alla veste grafica, consapevoli che quella presente mi ha già portato ai limiti delle mie capacità informatiche.
Buon inizio 2010 a tutti!