venerdì 23 aprile 2010

L'abbraccio pericoloso al Vietnam

"Too close to China and lose the country. Too close to America and lose the party".


Ossia:


"Troppo vicino alla Cina, e perdi il paese. Troppo vicino agli Usa, e perdi il partito (comunista)".


Questo è il ritornello nelle strade del Vietnam in anni di complicato rapporto con gli ingombranti fratelli maggiori. Rapporti diplomatici che provano di tenersi in buoni rapporti con entrambe le potenze, ma anche diffidenze bipartisan. La paura che la Cina, come già successo nei secoli scorsi, possa rivendicare il Vietnam come suo legittimo possedimento, se non nella forma di un'invasione militare quanto in quella di un'invasione di basso profilo (commerciale, sociale, politica); paura che fa il paio con la diffidenza della recente buona disposizione degli Usa, sia per i ricordi della guerra che per la paura che una sempre maggiore influenza di Washington possa finire col mettere in discussione il Partito Comunista e lo stato socialista. Quindi avanti piano e con circospezione, facendo seguire ad ogni apertura da una parte una contro-apertura dall'altra, con la speranza di ricavare il meglio da questa posizione "a metà" ma con la paura di ritrovarsi ostaggio nei rapporti tra Beijing e Washington. Col rischio di perdere o il paese o il Partito, che nel contesto socialista vietnamita sono pressochè identificati.

lunedì 19 aprile 2010

Coree tra celebrazioni e minacce

Oggi 19 aprile la Corea del Sud celebra i 50 anni della rivolta contro le elezioni farsa del marzo 1960, in cui morirono centinaia di dimostranti. Il presidente Lee Myung-bak ha cleebrato l'evento con un discorso nel quale, tra gli altri argomenti, ha sottolineato la necessità di una politica che unisca e non finisca vittima di regionalismi e divisioni manichee. Non è un momento facile per il governo, che si trova ad affrontare la recente vicenda dell'affondamento di una nave da guerra che ha causato 38 morti: voci sempre più insistenti confermerebbero che l'affondamento sia stato causato da un preciso attacco della flotta nordcoreana. Il governo di Seoul starebbe seguendo una linea di estrema prudenza, conscio che una volta ammesso che sia stato un atto di guerra, la conseguenza naturale sarebbe un contrattacco. Che scatenerebbe una spirale destinata a compromettere la ripresa economica che il paese sta vivendo. Prudenza quindi nell'affrontare una situazione che comunque resta nebulosa sia nei suoi antefatti che nelle possibili conseguenze: perchè Pyongyang avrebbe volto un attacco così plateale e forte, e che comunque continua a smentire? Per vendicarsi delle schermaglie avvenute lo scorso novembre nelle stesse acque? O per celebrare (tra pochi intimi, visto che la propaganda non ne parla) in maniera più incisiva il compleanno del primo leader nordcoreano Kim Il-sung, lo scorso 15 aprile? O forse per attirare l'attenzione di un governo, quello sudcoreano, che sta volutamente ignorando le minacce del Nord e che con questa politica fa molto irritare Pyongyang?


Seoul non accusa direttamente, Pyongyang non ammette un atto per il quale paradossalmente non è accusata (non formalmente, almeno). Ora si attende la prossima mossa.

mercoledì 14 aprile 2010

Terremoto nel Qinghai

La Cina si è risvegliata oggi nel passato, indietro di quasi due anni esatti, da un terremoto all'altro. Ore 7.49, prefettura di Yushu nella regione nord-occidentale del Qinghai. Altopiano tibetano, 3000-4000 metri sul livello del mare, 7,1 gradi Richter di magnitudo sismica hanno colpito duro la città di Gyegu: nome tibetano, vittime inter-razziali, che sarebbero già 400 con oltre 10000 dispersi. L'85% degli edifici della città, che conta circa 100000 abitanti, crollati, e tra questi diverse scuole.


"Dobbiamo salvare gli studenti" ha dichiarato Kang Zifu, ufficiale presente sul luogo, all'agenzia cinese Xinhua. 5335 furono gli studenti vittime del terremoto del 2008, molti bambini o poco più. Intrappolati in scuole rivelatesi costruite più simili a castelli di carte che edifici in muratura. La tragedia nella tragedia fece scattare proteste e diede fuoco a polemiche sulla sicurezza e sull'operato di amministrazioni più interessate al proprio portafolgio che alla qualità delle costruzioni. Non sorprende dunque l'attenzione da subito riservata alle vittime più giovani: è cinico, ma la morte di un bambino infiamma molto di più l'animo di quella di un anziano, e la voce si alza più forte e più rapida in questi casi. Se di nuov si vedranno scuole crollate di fianco ad edifici in perfetta salute e magari meno recenti, qualcuno inizierà nuovamente a tremare.


La macchina del soccorso si è attivata da subito: ripristinati le comunicazioni radar all'aeroporto di Batang a 30 chilometri dall'epicentro, principale snodo per gli aerei carichi di personale, generi di soccorso e carburante. Sul luogo del terremoto sta inoltre per giungere il vice premier Hui Linagyu per coordinare le operazioni.


(foto Xinhua/Zhang Hongshuan)


domenica 11 aprile 2010

Biskek, Kirghizistan

Il Transit Center di Manas si trova fuori Biskek, la capitale del Kirghizistan, nel nord della piccola repubblica centro-asiatica. Fino all'anno scorso si chiamava più semplicemente Manas Air Base: con quel nome era più chiaro il suo utilizzo militare. Aperta nel 2001 come base di supporto per la guerra in Afghanistan, è ufficialmente una base di transito del personale statunitense da e verso Kabul.


A sud il Kirghizistan spartisce con i paesi vicini (quelli che uniscono il nome del ceppo etnico  a -stan) la valle Ferghana: qui nel 329 aC. Alessandro il Grande stabilì una presenza greca, che si sviluppò nei successivi regni greco-battriani. Da qui si dice che delegazioni greche partirono alla volta dell'attuale Xinjiang cinese, arrivando fino a Kashgar e Urumqi. Ed i cinesi arrivarono qui: la dinastia Han e quella Tang riportano memorie del luogo e degli scambi con i suoi abitanti. Nell'VIII secolo dC. arrivò l'Islam, e quasi mille anni dopo l'Impero Russo, e poi l'Unione Sovietica. Ed ogni passaggio ha lasciato le sue traccie, dai visi con tratti ellenici che si vedono sui reperti archeologici all'archeologia edilizia fatta di enormi piazze monumentali, caseggiati dallo spirito socialista ed occasionali statue di Lenin.


Questa valle dalla storia leggendaria è oggi nota per essere il fulcro dell'integralismo musulmano dell'Asia centrale. Chiaro che con la guerra al terrore iniziata nel 2001 la situazione non può che essersi scaldata: laddove transitava il cammello battriano ora si muovono militari e terroristi.


La recente "rivoluzione" della settimana scorsa ha interrotto il governo di Bakiyev, supportato dagli Stati Uniti, a favore di Roza Otunbayeva, ministro degli esteri prima della Rivoluzione dei Tulipani (che nel 2005 ha messo al potere Bakiyev) ma già nelle leve del potere al tempo dell'Urss. Forse non è un caso che la Russia sia stato il primo paese a riconoscere il nuovo governo uscito dai recenti fatti di piazza.  Tra l'altro in Kirghizistan c'è già una base militare russa, e nel 2009 i rispettivi presidenti avevano cominciato a discutere dell'apertura di una seconda installazione.


Il Kyrgyzstan confina con la Cina. Confina con il Xinjiang, la regione "calda" cinese per quanto riguarda l'Islam, più facilmente fomentabile del Tibet qualora si volesse frammentare il paese asiatico, come dimostrano i tumulti finiti nel sangue del 2009 ad Urumqi. Le voci che la base di Manas, oltre a servire la guerra in Afghanistan, fosse anche una roccaforte dei servizi segreti dello Zio Sam impegnati a tenere sott'occhio la Cina, circolano da tempo. Potenziali terroristi si muovono lungo un confine dove Beijing ha piazzato impianti missilistici.


Chissà se i 3,3 milioni di kirghisi sanno di vivere in prossimità di una faglia sismica geopolitica della cui stabilità non è possibile essere certi.