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Il 1 gennaio 2010 è entrato in vigore il Trattato di libero scambio (FTA) tra Cina e paesi ASEAN, l’organizzazione dei paesi del sud-est asiatico. Immediato aumento degli scambi economici e commerciali, un apparente guadagno per entrambi. Rafforzamento dei rapporti tra Cina e questi paesi nonostante le antiche rivalità (Cina e Vietnam ricordano ancora lo scontro ai tempi della guerra del Vietnam, ma hanno anche problemi odierni riguardo ad acque contese del Mar Cinese Meridionale), ma anche nascita ed aumento di tensioni nuove (il Laos pur contento di aver un partner così grosso teme l'invasione cinese, non solo quella commerciale ma anche quella fisica, con conseguente rischio per la sovranità nazionale).
Facciamo un passo indietro al 1993, anno di inizio della costruzione cinese delle dighe sull'alto corso del Mekong. Oggi sono già 4 le mega dighe in funzione in territorio cinese, necessarie per alimentare le centrali idroelettriche vitali per Beijing.
Torniamo in tempi recenti, al 2008, funestato da alluvioni in Laos e Thailandia, per le quali i rispettivi governi puntarono il dito contro Beijing e le sue dighe.
Infine di nuovo nel 2010, in febbraio, quando l’Indocina è tornata al centro dell’attenzione a causa dell’allarme per la siccità del fiume Mekong nel suo basso corso, quello che appunto interessa le nazioni indocinesi. Il 26 febbraio la Mekong River Commission (MRC) di cui fanno parte rappresentanti di Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam ha dichiarato che il livello del Mekong è il più basso dal 1993. Il 3 marzo i rappresentanti della MRC riuniti a Luang Prabang in Laos hanno innalzato il livello dello scontro con la Cina inviando per la prima volta una lettera formale di protesta al governo cinese, le cui dighe sono ritenute responsabili degli scompensi avvenuti nella portata del Mekong. Beijing ha risposto senza esitazioni che il problema del Mekong è una siccità inaspettata e prolungata che ha già fatto parecchi danni nella province cinesi interessate dal corso del fiume, e non ha nulla a che vedere con l'attività delle proprie dighe: a riprova i dati portati dai cinesi, in base ai quali almeno 7 milioni di cittadini ed almeno 4 milioni di capi di bestiame starebbero soffrendo per la siccità in particolare nelle province dello Yunnan, Guangxi, Guizhou e Sichuan.
Un primo immediato effetto della grave situazione è immediatamente ricollegabile al Trattato: sul Mekong viaggiano i mercantili che trasportano le merci dalla città cinese di Jinghong alla città thailandese di Chiang Saen, da dove poi si immettono in tutta l'Indocina. Il traffico fluviale è stato interrotto, il trasporto dirottato sulla Route 3 che attraversa anche il Laos, intasando un'arteria non concepita per volumi grossi. Tra le conseguenze che interessano la vita degli abitanti, la disponibilità di acqua potabile e di acqua necessaria ad irrigare i campi durante la stagione secca sta calando drammaticamente. Tra le richieste dei governi della MRC (di cui va ricordato la Cina fa parte dal 1996 ma solo come partner dialogante, come anche Myanmar) fatte a Beijing c'è quella di rendere pubbliche le informazioni dettagliate riguardo alle proprie centrali idroelettriche, così da poter verificare quale sia il reale impatto che hanno sul corso inferiore del Mekong. Il fatto che Beijing consideri questi dati una questione di sicurezza nazionale e non voglia comunicarli non fa che accrescere nei paesi della MRC la sensazione che qualcosa venga tenuto nascosto.
E' in questo contesto che è avvenuta la visita di due giorni a Vientiane, capitale del Laos, di Kurt Campbell, assistente segretario di stato USA per l'Asia orientale. Campbell ha ribadito l'impegno degli Usa nei rapporti non solo con il Laos ma con tutti i paesi dell'area, non mancando di ricordare gli impegni presi nel 2009 quando gli Usa lanciarono un piano chiamato Lower Mekong Initiative insieme a Laos, Vietnam, Cambogia e Thailandia, che doveva promuovere la cooperazione nel campo della protezione ambientale, della salute, dell'educazione e delle infrastrutture. Prima del tour asiatico Campbell aveva avuto modo di affermare presso il Comitato per gli Affari Esteri che la regione Asia-Pacifico è di vitale importanza per gli Usa, facendo intuire che è ora di recuperare lo spazio perduto in anni di relativo disinteresse. Spazio che la Cina non ha tardato ad occupare. Il Laos ne è un esempio perfetto: dalla fine degli anni '90 la Cina è diventato il maggior partner commerciale di Vientiane, nonché il più grande fornitore di prestiti, investimenti esteri ed assistenza tecnica. Sempre rispettando la propria filosofia di non-interferenza negli affari interni del paese partner, che significa allo stesso tempo nessun interesse verso il tipo di governo o le eventuali malefatte che vengono commesse.
Per gli Stati Uniti è quindi venuto il tempo di dedicare più attenzione ai programmi di cooperazione, anche per conquistarsi il favore di una popolazione che in parte ritiene ancora le agenzie come la USAID (Us Agency for International Development) una copertura per la Cia, come spesso era durante la guerra del Vietnam. Già dal 2008 la collaborazione tra i due paesi non riguarda solo lo sviluppo o l'impegno a rimuovere gli ordigni inesplosi, ma anche la cooperazione militare: inviati a stelle e strisce insegnano inglese a professionalità ai militari laotiani tramite il programma IMET, International Military Education and Training; ora si tratta di portarla ad un livello superiore e più organico, per potersi inserire in pianta stabile nella zona.
Siamo dunque all'alba di una nuova guerra fredda con la Cina al posto dell'Unione Sovietica? I due giganti sembrano intenzionati a spartirsi ancora una volta il mondo. Ora è il turno del Laos, in seguito potrebbe essere il Vietnam, che di sicuro non disdegnerebbe una copertura statunitense nello scontro che lo oppone alla Cina riguardo un tratto di Mar Cinese Meridionale, rivendicato da entrambi i paesi principalmente per la ricchezza di petrolio e gas naturale dei suoi fondali: la possibilità che presto la Cina possa dotarsi di una flotta militare di portaerei ha già messo in tensione Hanoi, che ha recentemente annunciato un piano di acquisto dalla Russia di sei sottomarini e 12 navi da combattimento. Anche questa regione appare dunque sempre più simile ad uno spezzone del grande scacchiere globale: Thailandia, Corea del Sud, Giappone e Filippine tradizionali alleati degli Usa. Myanmar e Corea del Nord dalla parte della Cina. Indonesia e Malesia ancora da decifrare, Vietnam, Laos e Cambogia da conquistare. E ancora, andando verso ovest, India a braccetto con gli Stati Uniti, Nepal vicino alla Cina. Pakistan amico di Washington ma anche tradizionale alleato cinese in chiave anti-indiana. Iran filo-cinese alla luce dei recenti fatti (o forse è Cina filo-iraniana?) Afghanistan che gli Usa vorrebbero dalla propria parte, possibile spina nel fianco con la sua seppur piccola frontiera comune con la Cina. Repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale in bilico, con presenze e basi militare dello Zio Sam ma facilmente seducibili dagli Yuan cinesi. E Russia a coronare il tutto. Senza parlare in questo contesto di Africa e di America del Sud.
Alla luce di tutto questo e delle strategie per gli anni a venire, possiamo dirci sicuri che l'obiettivo ultimo di Bush nell'attaccare Iraq e Afganistan fossero veramente i terroristi e/o il petrolio? O forse George W. Aveva già cominciato un piano volto ad accerchiare la Repubblica Popolare Cinese o quantomeno limitarne l’espansione apparentemente inarrestabile nel resto del mondo?
Molto, molto interessante, alcune cose le sostengo da molto tempo! Certo, se viene fuori una terza guerra mondiale tra la Cina e i paesi silamici siamo veramente ben conciati!
RispondiEliminaGrazie. Ma nella prossima grande guerra la Cina starà con i paesi islamici, o la guerra sarà tra Cina e paesi islamici?
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